Daniele Bedogni e Maria Laura Veronica Croci, Soci dell’eClub 2050
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THOMAS J. WATSON E… WATSON
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Thomas J. Watson (1874 – 1956) è stato il Presidente ed Amministratore Delegato che ha portato l’IBM, nel periodo tra il 1914 ed il 1956, a diventare una potenza economica e tecnologica a livello mondiale.
Nel 2011, un computer realizzato da IBM che porta il suo nome ha partecipato allo show americano Jeopardy (il form del famoso Rischiatutto italiano) impiegando due ore per rispondere alla prima domanda del conduttore televisivo.
A seguito del potenziamento della velocità di elaborazione, nel corso dei tre successivi giorni di gara, ha “imparato a giocare” arrivando a battere in adattabilità, velocità, cultura ed associazione di idee i due campioni storici del gioco.
A livello filantropico, l’IBM ha poi donato e diviso il milione di dollari vinto tra due associazioni benefiche, il World Community Grid e la World Vision.
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Watson può essere considerato un’intelligenza artificiale forte entrata, in modo vittorioso, in competizione con l’uomo?
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GRAMMATICA O SEMANTICA?
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Il filosofo John Searle, teorizzatore dell’esperimento mentale della “stanza cinese” sostiene che Watson ha semplicemente gestito dei simboli senza comprendere il significato degli stessi affermando che, in tale scenario, la sintassi (grammatica) non riesce ad uguagliare la semantica, ovvero il significato.
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Searle, a sostegno della sua teoria, traspose il quiz Jeopardy alla “sua stanza cinese”: in tale contesto, il computer riesce a convincere gli altri umani del suo comportamento sembrando umano (Legge di Turing) ma, di fatto, è come se un uomo al suo interno stesse ricevendo, elaborando e restituendo dei messaggi in lingua cinese senza capirne assolutamente il significato (semantica).
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Oggi, cinque anni dopo, l’IBM ha lanciato tre nuovi progetti legati a Watson:
1) Watson Discovery Advisor, sviluppato per progetti di ricerca e sviluppo in campo farmaceutico e biotecnologico;
2) Watson Analytics, destinato alla visualizzazione dei Big Data ed alla gestione delle risposte avanzate, in linguaggio naturale, da migliaia di utenti diversi;
3) Watson Explorer, finalizzato all’analisi delle statistiche degli utenti ed alla condivisione delle osservazioni elaborate.
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L’azienda sta anche lanciando un fondo di 100 milioni di dollari per incentivare lo sviluppo di applicazioni “cognitive”.
Il CEO dell’IBM Virginia Rometty ha dichiarato: “Watson produrrà entrate di 10 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni”.
La Commissione Europea, dall’altra sponda dell’Atlantico, sta iniziando a valutare (a detta di molti, troppo lentamente) gli aspetti futuri che potranno interessare i diritti e i doveri sociali dei robot come soggetti attivi di diritto ed attori pieni nell’ambito della relazione con il proprio ambiente.
Abbiamo utilizzato il termine relazione, a differenza di gestione, perchè la robotica presupporrà la nascita di computer in grado di interagire con gli esseri umani, adattandosi alle situazioni e sviluppando strategie tramite associazione di idee.
Le “macchine” non eseguiranno più solamente operazioni complesse (ma sempre uguali nella loro dinamica input -> output e causa -> effetto) ma creeranno la loro esperienza con l’ambiente esterno, modificandolo, e trasmettendola ad altri robot.
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ANTROPOLOGIA… ROBOTICA?
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La modifica del proprio ambiente e la trasmissione dell’esperienza acquisita hanno contraddistinto il genere umano fin dall’alba del suo sviluppo sulla terra: l’adozione di tali dinamiche avvicinerebbe molto i robot alla “way of life” dell’umanità.
Gli umani ed i robot, con la sola esclusione (forse) del senso di angoscia e della tensione verso l’ignoto dimostrerebbero caratteristiche antropologiche comuni e, teoricamente, non sempre in sintonia.
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Proviamo, quindi, ad invitare allo sviluppo di alcune riflessioni a livello morale ed umano e, in sintesi, nell’ottica Rotariana di beneficio per “tutti i partecipanti”.
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Ad oggi, un robot animato da un motore di intelligenza artificiale opera sempre in equilibrio con il proprio ambiente anche quando assume decisioni che possono agire su di esso (basti pensare ad un droide che cammina su un pavimento cercando di evitare le uova poste in terra).
Parallelamente, un robot non percepisce sensi di angoscia o la necessità di tendere verso un aspetto trascendente della propria esistenza.
Questi due aspetti, ad oggi, portano ad ipotizzare che i robot agirebbero sempre senza “quel sentimento umano” che nel bene e nel male ha accompagnato il viaggio dell’umanità.
I robot potrebbero, però, giungere in futuro a porre in essere scelte tecnicamente perfette ma umanamente difficili (un po’ come nella stanza cinese attraverso una impeccabile grammatica ma una condizione semantica non presente).
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In tal senso, è stato di grande supporto la letteratura del grande scrittore Isaac Asimov (1920 – 1992) che per primo, in modo didascalico, semplice ed “umano” ha descritto gli aspetti legati alla robotica ed i suoi impatti a livello di doveri verso l’umanità e diritti verso le macchine.
All’inizio degli anni ’40 del ventesimo secolo, Asimov teorizzò le tre sotto indicate leggi con la speranza di “regolamentare a livello morale” l’agire dei robot:
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Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
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Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
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Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.