La convivenza tra i popoli

di Daniela De Zottis Pereira e Aurora Scalora, Socie dell’eClub 2050

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La nostra società multietnica proiettata in una dimensione globale, si trova oggi ad affrontare un problema complesso, che consiste nel governare il processo di integrazione tra popoli, cercando in qualche modo di salvaguardare le identità culturali.

Il pensiero di Aurora…

Il fenomeno delle migrazioni che nella storia ha le sue radici in profondità, ancora oggi influenza cultura, società, economia e questo naturalmente coinvolge istituzioni nazionali ed internazionali. Ma c’è un punto per me fondamentale ed è quello di non perdere mai di vista il fatto che tutti siamo “esseri umani”, “human beings”, “UGUALI” e solo nella condivisione ed il rispetto c’è l’integrazione. Una convivenza pacifica esiste quando due popolazioni, oltre che a convivere in estrema tranquillità, rispettano le opinioni altrui e non ignorano le persone che fanno parte dell’altro popolo.

Il problema dell’intolleranza fra popoli diversi è diffuso in tutto il mondo, sebbene a livelli diversi.

Da qualche anno le persone non parlano più di razze ma solo di etnia. Infatti durante il corso degli anni, le varie razze (con la mobilità) si sono mischiate fra loro, creando i cosiddetti meticci.

Quindi, spesso, adesso, la discriminazione e l’intolleranza si basano soprattutto sulla provenienza, la religione e la diversa cultura di una persona.

Ancora oggi, alcune parti dell’Asia e dell’Africa, sono teatro di vere e proprie guerre, mentre in alcuni luoghi più sviluppati, l’intolleranza si manifesta con una forte discriminazione.

Si è portati a pensare che le persone di culture diverse siano inferiori, e così, spesso questi individui vengono emarginati.

Una personale considerazione. Ieri ho visto il film “LION” (2016) che vi consiglio: Saroo Munchi khan, un uomo che da bambino perse la sua famiglia negli slum di Calcutta. Aveva vissuto in condizioni di grave disagio e per una serie di combinazioni finì per trovarsi nelle condizioni di essere adottato da una famiglia australiana, per sua fortuna di alta società.

Però, nonostante la sua positiva integrazione, ad un certo momento sente la necessità quasi ossessiva di ritrovare le sue radici.

Questo film è ricco di tematiche e di significati, capace di far emergere la crudeltà della vita, la dolcezza di una madre, l’altruismo di persone generose (genitori adottivi) che pur potendo aver figli propri, decidono di non averne ma di adottare bimbi sfortunati, amandoli incondizionatamente e crescendoli come propri.

Ammiro questi genitori che dimostrano un altruismo coraggioso e generoso (non facile considerato che si parla di una storia vera) e ci porta a riflettere quanto semplificherebbe l’integrazione dei diversi popoli se i più “forti” aiutassero i più deboli (utopia).

Il film, tratto da una storia vera, è interessante su tanti aspetti e ci mostra pure di quanto è avanti oggi la tecnologia. Ci mostra la positività dell’informatica, che in un  attimo accorcia le distanze di comunicazione nel mondo; dimostra come Google ha permesso ad un giovane indiano, poi adottato in Australia, a ricostruire il suo passato di un bambino.

A questo proposito sono convinta che tutti dovremmo essere uno scrigno che racchiude a pieno la propria storia, la propria origine e la propria identità, ben custodita e non dimenticare.

Senza passato non si può aver futuro

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Forse quello che scriverò non sarà proprio quello che immaginate di leggere. Io sono l’altro lato. Sono l’arrivo dei portoghesi, spagnoli e tanti altri che si sono lanciati verso l’oceano in cerca di nuove terre e tutto quello che potessero approfittare in queste nuove terre.

Il pensiero di Daniela…

Abbiamo avuto di recente dei dibattiti sull’uso della parola ‘’scoperto’’. Siamo stati davvero scoperti dai portoghesi? Scusate, ma qui vivevano proprie e vere nazioni, con una lingua, una cultura e religione usurpate e cancellate dai nuovi abitanti. Hanno portato progresso, molti direbbero. Ci hanno rubato le ricchezze, si fa per dire.

Tutto sommato, ci hanno un po’ disegnato come popolo. Chi è il brasiliano? Quando mi chiedono in Italia da dove vengo e dico che sono brasiliana il solito commento è: ‘’nessuno l’avrebbe mai detto’’. Come mai non ho una faccia tutta brasiliana? Sì, ce l’ho. Perché la nostra faccia è bianca, è nera, è gialla, è una mescola dei popoli che vivevano qui e di tutti i popoli che sono venuti e ci hanno lasciato la loro impronta. Anche gli italiani.

A tavola mangiamo piatti italiani, portoghesi, africani, giapponesi, regionali, ecc. Sono la nostra cucina.

Cerchiamo di rispettarci nell’ambito delle religioni, forse l’aspetto più difficile da conciliare. Siamo un paese laico. Solo sulla carta, perché viviamo ancora come un paese cattolico. Chi prescinderebbe dai giorni festivi come Natale, Pasqua e le feste di San Giovanni, San Pietro e Sant’Antonio? Nessuno!!

Penso che siamo più tolleranti con quelli che vengono da fuori. La nostra (mi riferisco alla mia regione geografica, il sudest) storica malavoglia verso quelli del nordest è un bell’esempio di come la migrazione interna può diventare un problema.

Quando i siriani, haitiani e tanti altri sono venuti a vivere qui, abbiamo cercato di individuarli, capirli, ma tra poco verranno degli altri e si mescoleranno come se niente fosse.

Sui profughi che arrivano in EU tutti i giorni, molti dicono che è un debito storico. Ce l’abbiamo il nostro verso i neri. Infatti sono d’accordo che quello che hanno fatto con gli africani sia stato un orrore. Ma sono passati quasi 130 anni da quando la liberazione degli schiavi è stata firmata e dobbiamo ancora pagare il conto?

Così come succede da voi, molti arrivano qui e non vogliono mescolarsi, imparare la lingua, la cultura, ma la fine di questo film la conosciamo: alla fine non avranno scelta, dovranno interagire, diventare anche loro il paese dove hanno scelto (o sono stati spinti) di vivere. Vi do l’esempio dei giapponesi. Nei tempi difficili sono venuti a vivere qui e respingevano fortemente l’idea di interagire, imparare la lingua, perché pensavano che sarebbero ritornati presto. Non è mai successo. Sono rimasti qui, hanno rifatto la vita e le nuove generazioni non hanno più quel pregiudizio contro il paese che li ha accolti, dato casa, lavoro e la possibilità di una nuova vita. Ovviamente hanno cambiato la nostra cultura, introdotto la loro cucina, le feste, tradizioni e abbigliamento. Nel mio armadio ho una camicetta ‘’giapponese’’ e ogni tanto mangio il sushi. Tutto assolutamente normale.

Ho visto in una trasmissione tv una coppia, lei marocchina, lui siriano, tutti e due laureati, ma costretti a lasciare i loro paesi. Gli hanno chiesto perché sono venuti a vivere qui. La risposta sentita dai due è che è stato consigliato loro di venire qui perché noi brasiliani riceviamo bene le persone e non abbiamo pregiudizio verso gli emigrati. Hanno aperto un ristorante. Stanno bene. Augurerei che stessero bene nei loro paesi, ma non è possibile.

Sono benvenuti nel mio!

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