A che serve la filosofia?

Giulia Felappi, ricercatrice universitaria, socia dell’eClub 2050

Sono una filosofa e quando lo dico a quelli che mi chiedono che lavoro faccio, ci rimangono di stucco. Di solito procedono chiedendomi a cosa serva la filosofia. Che ci crediate o no, la filosofia serve a un sacco di cose. Primo esempio: purtroppo, è noto che abbiamo meno organi donati che organi necessari. Come allochiamo i pochi organi che abbiamo? Questa è una domanda filosofica, e la risposta corretta deciderà, per quanto questo sia triste e brutale, chi delle persone che hanno bisogno dell’organo potrà averlo e quindi chi vivrà. Un altro esempio meno triste. Spesso, facciamo errori di ragionamento. Ad esempio, vi presento Linda: Linda ha 31 anni, è single, schietta, e molto brillante. Ha un dottorato in filosofia. Da studentessa, era molto impegnata sul fronte delle discriminazioni e della giustizia sociale, e ha inoltre partecipato a delle manifestazioni antinucleari. Ora che sapete tutto questo, ditemi, è più probabile che Linda sia una sportellista bancaria o una sportellista bancaria attiva nel movimento femminista? Il 75% delle persone crede che sia più probabile che Linda sia una sportellista bancaria, che una attivista del movimento femminista. Ma questo è un errore logico: è più probabile essere solo una sportellista bancaria che una sportellista bancaria e anche qualcosa d’altro, cioè una attivista femminista. Ecco, capire i nostri classici errori di ragionamento e spiegare perché sono errori è parte della logica, un ramo della filosofia. Quindi la filosofia serve, eccome! Io in particolare mi occupo di filosofia del linguaggio. Serve la filosofia del linguaggio? Il linguaggio è forse la creazione più sofisticata della mente umana. L’umanità ha creato la Cappella Sistina, i numeri complessi, la Divina Commedia, il linguaggio e tante altre meraviglie. Come servono persone che si occupino della Cappella Sistina, perché è un grande patrimonio dell’umanità, così servono persone che si prendano cura del linguaggio, perché è un grande patrimonio dell’umanità. Io, insieme a tante altre persone, mi prendo cura del linguaggio umano, di quello che sappiamo fare usandolo, di come lo abbiamo costruito, di come mai siamo capaci di averlo costruito e di usarlo.

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Sì, ma cosa fa concretamente un filosofo?

Di solito la gente pensa che il filosofo se ne vada in giro speculando sui massimi sistemi. Ma fare la filosofa è in realtà un lavoro come tanti altri e la vita lavorativa di un filosofo si divide in 3 parti: c’è una parte di insegnamento e amministrazione, una parte di ricerca e una parte di pubblicizzazione/pubblicazione della ricerca.

Insegnamento: Mediamente, un filosofo che lavora in Inghilterra insegna 5 ore a settimana, a cui vanno aggiunte una decina di ore settimanali tra amministrazione e ricevimento con gli studenti. Io in particolare insegno le materie affini al linguaggio, quindi logica, filosofia del linguaggio, semantica, pragmatica, ecc. Per esempio, studiamo la differenza tra quello che le nostre parole dicono letteralmente e quello che invece le nostre parole suggeriscono. Un esempio: pochissimi sanno che se dico di avere 2 figli, quello che dico letteralmente è che ho almeno 2 figli, per cui se ho esattamente 5 figli, è vero che ne ho 2, perché se ho 5 figli ne ho almeno 2. Ma allo stesso tempo quando vi chiedo quanti figli avete, se mi rispondete che avete 2 figli, quello che suggerite è che ne avete esattamente 2. Un altro esempio. Dal punto di vista letterale, non c’è differenza tra dire che una persona è rotariana e antipatica e dire che una persona è rotariana ma antipatica. Eppure se diciamo che una persona è rotariana MA antipatica facciamo intendere che crediamo (correttamente!) che i rotariani siano in genere simpatici. Per mille motivi, tra i quali motivi legali, ad esempio, è molto importante distinguere tra quello che si è detto e quello che si è solo suggerito. Io insegno la distinzione ai miei studenti.

Ricerca: Faccio ricerca sul linguaggio. Per darvi un esempio, in questi mesi mi sto occupando di quella che credo sia una caratteristica tipica degli esseri umani, cioè il porsi domande. Porsi domande è un passo fondamentale nello sviluppo dell’umanità, perché si raggiunge conoscenza solo se ci si chiede il perché delle cose, solo perché sorgono una curiosità e un quesito. Più in particolare sto cercando di capire come nasca una domanda, perché ce la poniamo e cosa significa porsi una domanda e quando riteniamo di aver trovato una risposta. Ad esempio, in logica, se mi chiedete cosa è il Rotary, io vi ho risposto adeguatamente se vi rispondo che il Rotary è il Rotary. La logica non è adeguata alla realtà! Ma quale risposta è adeguata, allora? Basta dire che il Rotary è una associazione? Quali sono i criteri per capire quando una risposta è esauriente? Ho inoltre un progetto di ricerca storica su alcune donne filosofe del secolo scorso. Ultimamente in filosofia, finalmente, ci si è resi conto che l’ineguaglianza tra sessi (per farvi capire, io sono in un dipartimento di 20 persone, di cui sole 3 donne) è sbagliata. All’interno di questa attenzione per le donne, sono state anche riscoperte delle figure che erano state sottovalutate, purtroppo proprio perché donne. Parte del mio progetto è rendere noto il pensiero di queste filosofe, che si sono occupate principalmente di cosa sia la verità: c’è una verità assoluta, o ognuno ha la sua? Ci sono valori universali, o diversi popoli hanno verità diverse su cosa sia giusto e sbagliato? In questo terribile periodo storico, credo che questa sia forse la principale domanda da chiedersi.

Pubblicizzazione/pubblicazione: Partecipo all’incirca a una decina di conferenze all’anno e pubblico un paio di articoli all’anno su riviste internazionali. Ci sono circa 500 filosofi del linguaggio al mondo, e loro sono i miei principali interlocutori. Il dibattito è certamente a livello mondiale.

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Come si diventa filosofi?

L’accademia è in generale un ambiente molto competitivo. Inoltre la selezione avviene a livello mondiale, quindi si viene selezionati in un gruppo di persone che vengono sia per nascita che per formazione da tutto il mondo. Per altro si deve essere disposti ad andare ovunque. Per diventare filosofi bisogna avere un dottorato in filosofia, aver pubblicato articoli di filosofia e avere, diciamo la verità, anche un po’ di fortuna. Credo che nell’accademia anglosassone e americana la meritocrazia sia in effetti in atto. Per le pubblicazioni, ad esempio, la selezione avviene in modo completamente anonimo, per cui le persone che accettano il mio articolo non sanno chi sono, né io saprò mai chi sia stato ad accettare o a rifiutare il mio pezzo.

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Perché all’estero?

Ho studiato filosofia all’Università San Raffaele di Milano. Presa la laurea, ho fatto un perfezionamento alla Scuola Normale Superiore di Pisa. A metà del mio perfezionamento ho capito che per me c’erano poche possibilità lavorative in Italia, prima di tutto perché ci sono pochissimi posti di lavoro in università in generale, secondariamente perché in Italia la selezione tende a non essere meritocratica, e non avrei mai voluto essere selezionata per criteri diversi dal merito. Per mia grande fortuna ho ottenuto una borsa degli Ambasciatori del Rotary, con cui ho passato un anno di ricerca a Oxford. L’anno dopo sono stata in visita a NYU, a New York. Queste due esperienze all’estero mi hanno fatto capire che potevo fare la filosofa solo all’estero. Allora ho fatto domanda per un dottorato al King’s College di Londra, dove sono stata ammessa con finanziamento totale per 3 anni. Ho finito il dottorato ad agosto e a gennaio inizierò a essere professoressa all’università di Southampton, a 32 anni. Per quanto l’Italia mi manchi, tutto questo sarebbe impossibile in Italia. Per di più l’Italia è un posto di grandissime menti e grandi scuole, ma mentre all’estero è ovvio che il dialogo è su fronte mondiale, in Italia c’è una percentuale di accademici che pensano ancora che i confini dell’Italia siano i confini della ricerca e questo, nel 2015, è sciocco e inaccettabile. La mia non è solo una pur robusta sensazione: l’Italia è l’unico posto, insieme alla Francia, dove ancora si pubblica in italiano e si traducono libri dall’inglese. Questo non può essere d’aiuto.

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E il futuro?

Nessuno fa il filosofo se non è mosso da grande passione. Per vari motivi. Uno dei motivi sono l’incertezza e l’instabilità. Tra due anni il mio contratto sarà soggetto a revisione e potrei dover cercare un nuovo lavoro. Per quanto la situazione mondiale non sia grave come quella italiana, non ci sono molti lavori da filosofo, e quindi uno rischia di ritrovarsi a 34 anni senza un lavoro in accademia. Ma anche se lo trova, proprio perché ce ne sono pochi, deve essere disposto a prenderlo, ovunque sia. Quindi il filosofo non può ragionevolmente pensare di ‘sistemarsi’ fino diciamo ai 40 anni. Da questo punto di vista, quindi, è un lavoro che non dà certezze, come per altro molti altri, al momento.

Quindi, come mi piace spesso dire, il filosofo è un lavoro difficile, dove c’è grande competizione e incertezza, ma ci occupiamo del pensiero, del linguaggio e della verità, chi può volere di più? Io no di certo.

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