I valori del Rotary alla sua nascita

Claudio Widmann, medico, P.P. e socio del R.C. Ravenna (Distretto 2072).

Il Rotary non è una corrente filosofica né un movimento ideologico, quindi non parleremo che in senso improprio di “filosofia del Rotary” o di “visione dell’uomo nel Rotary”. Tuttavia esso è figlio del proprio tempo, quindi anche della filosofia, della dottrina sociale, della concezione dell’uomo, della Weltanschauung che permeava il clima culturale alla sua nascita.
Forse l’immagine di un giovane avvocato, proveniente dal Vermont e ammalato di nostalgia, che si aggira una domenica del 1905 fra la folla anonima e concitata di Chicago, riassume da sola l’atmosfera collettiva in cui nasce il Rotary.
Nell’attaccamento nostalgico al Vermont, quell’immagine contiene il radicamento dell’America alle matrici culturali e sociali dell’Europa. Il Vermont, difatti, è uno degli States di più antica fondazione; agli inizi del ‘900 le comunità erano “vecchie” di 200 anni, avevano mantenuto la dimensione a misura d’uomo, avevano ereditato per via diretta i valori dell’Europa, avevano consolidato nella loro organizzazione i valori umanistici della democrazia e della solidarietà sociale. Nella concitazione di Chicago, quell’immagine contiene la proiezione dell’America verso il futuro. L’Illinois, difatti, era proiettato verso l’Ovest, era segnato dall’espansione esplosiva e dall’estemporaneità; lì convergevano il pionierismo e lo spirito d’avventura, lo sradicamento sociale e il melting pot, la propensione alla trasformazione, la vocazione alla conquista, all’espansione, all’innovazione. Il mito dell’Ovest (young man go west!), era il mito di una società il cui baricentro si spostava dall’attaccamento al passato e scivolava nella proiezione verso il futuro, assumendo un profilo sempre più individualizzato.
Paul Harris era lì con il proprio bagaglio di tradizione e di sentimento e con il proprio, giovanile e pionieristico impulso all’innovazione.
Apparteneva alla tradizione e all’eredità culturale europea di P. Harris il valore centrale della libertà e il desiderio di democrazia. I Puritani in fuga dall’Inghilterra, i Secessionisti di John Brown, i Quaccheri di William Penn erano accomunati da un comune desiderio di libertà e da un’identica esigenza di autonomia. Per questo, ancora a bordo del Myflower, i Pilgrim Fathers avevano compilato il Compact, ponendo le basi di una democrazia presidenziale, retta sui principi della rappresentatività attraverso l’elezione dei governatori. Non è soltanto nella denominazione di governatore, nei criteri della rappresentatività e nell’organizzazione presidenziale che il Rotary eredita quelle matrici culturali. E’ soprattutto nel convinto valore che attribuisce alla libertà di pensiero e nella storica incompatibilità che i regimi totalitari di tutto il mondo hanno dimostrato con esso.
La tradizione ereditata da P. Harris era la tradizione culturale dell’Europa riformata. Il maggior flusso migratorio dall’Europa verso l’America, difatti, provenne inizialmente da regioni dell’Europa settentrionale, che maggiormente avevano integrato i valori della riforma luterana e delle sue evoluzioni. Alcuni aspetti di questa matrice culturale meritano essere evidenziati espressamente. In primo luogo il primato dell’individuo. Nel suo contrasto col papato, il luteranesimo aveva fortemente rivendicato la libertà di esame dell’individuo e, in un certo senso, aveva imposto la priorità del singolo sull’istituzione. Molte cose derivarono dal primato dell’individuo, ivi compreso un certo individualismo. Ma noi evidenzieremo il fatto che, nel Rotary, la persona vale sempre e anzitutto in quanto individuo. E’ significativo, ad esempio, che nelle ammissioni non siano considerate le cariche ottenute per nomina.
Un bilanciato rapporto fra singolo e stato è la prima conseguenza di questo primato dell’individuo rispetto all’autorità. La rivendicazione luterana del libero esame individuale costituì, difatti, un implicito riconoscimento che esistono ambiti e problemi in cui l’autorità non può ingerire e in cui il valore del singolo è prioritario. La sensibilità per un’area di rispetto dei diritti personali consentirà di maturare, in America, la filosofia jeffersoniana dello stato, secondo cui il governo deve essere democratico e deve governare il meno possibile.
Il riconoscimento della libertà associativa e il rispetto della soggettività delle associazioni discendono direttamente da quest’universo ideologico. Certo, qui si sommano anche fattori storici: un’esperienza collettiva come la conquista di un continente, l’inaugurazione di una nuova cultura e la fondazione di uno stato (o, addirittura, di un Nuovo Mondo) non può essere opera di un singolo, ma deve far conto sullo spirito gregario, sulla specifica capacità umana di associarsi. Alexis de Toqueville ebbe a osservare che, alla testa di un’iniziativa importante, in Francia si trova il Governo, in Inghilterra un Lord, in America un’Associazione. Molte cose discendono dall’importanza annessa alle organizzazioni, ivi compresa la formazione delle lobbies. Ma noi evidenzieremo il fatto che, nel contesto di un ridisegnato rapporto fra potere centrale e associazioni, il Rotary costituisce un’espressione alta e consolidata dell’associazionismo.
Accanto al primato dell’individuo, la cultura europea riformata promosse l’etica del lavoro. Il calvinismo (i cui profughi si rifugiarono dalla Vecchia Inghilterra nella Nuova Inghilterra) costituì probabilmente la forma più estrema di quest’etica della produttività. Per Calvino il lavoro era inteso come “vocazione religiosa attraverso cui si realizza il piano di Dio” e il successo nel lavoro era un indicatore della favorevole predestinazione del singolo. L’emblema del calvinismo sta nella parabola del servo accolto in cielo per aver fatto fruttare i talenti affidatogli dal suo signore.
Molte cose discesero da questa etica del lavoro. Max Weber pose adeguatamente in rilievo come essa abbia contribuito -accanto ad altri, importanti fattori- alla nascita del capitalismo; oggi conosciamo addirittura fenomeni patologici che vanno sotto il nome di “dipendenza da lavoro”. Ma noi metteremo in rilievo che, nel Rotary, quest’etica del lavoro fa da sfondo al valore primario che viene attribuito alla professione e alla sua realizzazione a livelli di eccellenza.
Oggi è indispensabile ricollocare la priorità calvinista attribuita al lavoro, alla produttività e al successo, perché le distorsioni subentrate nel corso dei secoli ne deformano il senso originario. Essa va collocata all’interno di un’etica tanto rigorosa da entrare nei vocabolari di filosofia col termine di “rigorismo calvinista”. Occorre rimarcare, cioè, che il successo professionale non aveva valore in quanto tale, ma solo come espressione della benevolenza che Dio, nella sua assoluta sovranità, manifestava in quel modo a quella persona. E’ implicito che l’uomo non poteva barare con Dio e che i traguardi professionali avevano valore solo se realizzati all’interno del rigore etico. Questo connubio fra eccellenza professionale e integrità morale costituisce uno dei punti di forza del Rotary, anticipando di quasi un secolo le riflessione che oggi animano il dibattito sociologico (ad esempio sulle organizzazioni no profit).
Merita anche ricordare che all’interno della Weltanschauung calvinista, T. Carlyle (†1881) aveva elaborato un dottrina dell’élite.
Egli intende come autentica e più alta realizzazione umana quella espressa dagli individui d’eccezione, che emergono sugli altri in virtù della loro genialità. A differenza del contemporaneo Pareto, Carlyle non identificava l’élite con la classe dirigente, ma con l’eccezionalità soggettiva della persona. Era un concetto che affondava le proprie radici nella filosofia classica di Platone e di Aristotele: l’àristos (il migliore, l’aristocrazia) come depositario e portatore dell’areté (il valore civile, la virtù personale). In America, la concezione calvinista dell’élite evolverà nella ricerca e nella valorizzazione della leadership carismatica, che tanta parte giocherà nell’organizzazione sociale, politica ed economica.
A noi importa (“solo”) porre in evidenza che il Rotary accoglierà appieno, entro il proprio universo di valori, il concetto di leader, inteso come persona che emerge per le proprie caratteristiche personali e che sa esprimere le proprie potenzialità (professionali e, ancor più, umane) a livelli di eccellenza.
Quando P. Harris si aggira spaesato nella metropoli di Chicago (500.000 abitanti agli inizi del novecento!) porta con sé un’eredità culturale come quella che abbiamo sommariamente tratteggiato sin qui. Ma s’incontra (e scontra) con una dimensione sociale a lui sconosciuta e, in parte, inedita anche per il resto del mondo.
Era inedita per il mondo la grande “questione sociale”, su cui tutta la civiltà occidentale si andava interrogando a cavallo fra ottocento e novecento. Era sconosciuta a P. Harris la dimensione specificamente americana del disagio umano, della mancanza di radicamento individuale, della spersonalizzazione metropolitana, dell’anomia sociale. Queste caratteristiche cominciavano a esplodere in estesi fenomeni di emarginazione, di segregazione razziale, di disadattamento sociale, di criminalità. La realtà americana esibiva caratteristiche specifiche e richiedeva elaborazioni specifiche.
Così, in quegli anni, fioriva l’analisi dei problemi economici e sociali: La storia delle grandi imprese americane, di Mayers, La teoria della classe agiata di Veblen, La battaglia degli slums di Riis, eccetera. Grandi amministrazioni locali cominciavano a porsi il problema degli strati sociali deboli. Le chiese riformate varavano iniziative di beneficenza. Prendeva consistenza, in America più ancora che in Europa dov’era nata, la corrente di pensiero denominata “filosofia dell’azione”, di cui Newmann (1801-1890) aveva vigorosamente sostenuto il carattere religioso, al tempo stesso in cui Sorel ne aveva affermato il carattere politico.
Si assisteva in quegli anni a un fenomeno importante: l’associazionismo americano si coniugava con lo spiritualismo filosofico, con l’altruismo religioso, con la sensibilità filantropica, con l’intervento sociale, con l’assistenza umanitaria. Si diffondevano, così, la Salvation Army, la Young Womens’s Cristian Association, e la Young Men’s Cristian Association. Ma la beneficenza era solo un’espressione settoriale di un concetto-chiave che si andava riformulando e diffondendo, quello di service.
Il Rotary recepirà i fermenti culturali che presiedevano all’associazionismo e alla sensibilità sociale, assumendo a proprio fondamento il concetto del servizio e costituendosi come primo Service Club. Agli inizi del 1900 si andava costituendo una cultura americana autonoma, che non era di derivazione europea e non amplificava idee nate nel Vecchio continente, ma rielaborava in maniera originale la propria specifica storicità. Mi pare significativo, nel nostro contesto, che nel 1904, oltre a Paul Harris, fosse a Chicago un altro americano del Vermont: John Dewey, la cui opera segnò la nascita della scuola di pensiero detta “Scuola di Chicago”.
Dewey fu il filosofo dell’instabilità, della precarietà, del rischio e dell’incertezza; nel suo pensiero risuona la realtà della Nuova America, com’era vissuta nell’Illinois e lungo tutta la linea di espansione verso l’Ovest. Teorico delle potenzialità umane di pensiero e di critica (attraverso cui l’uomo si costituisce come “io”), il Filosofo sosteneva che il processo conoscitivo è processo di trasformazione. E’ la natura stessa dell’esistenza umana che ci confronta costantemente con l’instabilità e che ci costringe, di conseguenza, a produrre trasformazioni. Dewey non mira alla ricerca di valori assoluti, ma a quella di obiettivi concreti, condivisi collettivamente. Per lui “i concetti sono strumenti d’azione”.
E’ interessante vedere come nel pensiero di Dewey confluiscano semi epistemologici importanti, già incontrati fin qui: il primato dell’individuo nell’interpretare la realtà e nell’inventarsi la vita; la responsabilità del singolo di agire in maniera incisiva sul mondo, la rivendicazione della libertà individuale e l’apertura alla condivisione sociale.
Il Rotary, che agli occhi di molti è l’immagine stessa dell’immobilismo e del conservatorismo, nasce in questo crogiuolo di fermenti sociali e culturali, in seno a una filosofia che pone al centro della propria riflessione il concetto di evoluzione e di trasformazione. Al centro dell’impegno rotariano c’è un radicale desiderio di trasformazione: della malattia (Polio-Plus), dell’ignoranza (borse di studio), del disagio (3-H), dell’Uomo.
Il concetto di trasformazione di Dewey è strettamente imbricato con quello di azione ed entra in risonanza con il primo movimento filosofico autenticamente americano: il pragmatismo. Wiliam James, che del pragmatismo fu uno dei padri fondatori, nello stesso anno in cui Paul Harris fondava il Rotary pubblicava uno scritto ritenuto minore (Mysticism) e due anni dopo (1907) pubblicava Pragmatismo: nome nuovo per vecchi modi di pensare.
Il pragmatismo fonda il valore di ogni conoscenza sull’esperienza, non però sull’esperienza passata, bensì su quella futura: una verità è tale non solo se la dimostra vera l’esperienza accumulata, ma se dimostra di poter fungere da regola d’azione per condotte future, se dischiude possibili applicazioni future. La singolarità dell’uomo è collocata nelle sue capacità conoscitive (pensiero, coscienza), ma l’accento è interamente posto sulla ricaduta pratica, operativa dell’atto conoscitivo e non sul suo
sterile esercizio mentale. “Da questo punto di vista diventano ‘vere’ le credenze che sono ‘utili’ all’azione.
Di qui la centralità dell’azione, che il Rotary assume per intero dal pragmatismo, al punto che, pochi anni dopo la fondazione (1926), struttura la propria vita associativa attorno a “quattro vie d’azione”: azione interna, azione di pubblico interesse, azione professionale e azione internazionale, aggiungendo in questi anni la quinta via, quella per la gioventù. Del pragmatismo di James, però, mi piace sottolineare che presuppone un universo pluralistico, in cui l’autonomia delle coscienze e la molteplicità degli esseri (noi diremmo la biodiversità, la multietnia) stanno a fondamento dell’evoluzione umana e della trasformazione creativa.
Si è soliti dire che la vocazione internazionale del Rotary gli è stata impressa dalle spinte autoaffermative degli States nella prima metà del novecento; che si è ispirata all’espansionismo americano, di cui segue le linee anglofone di irradiazione nel pianeta.
Vero.
Ma io vorrei sottolineare, qui, la matrice culturale, che fu contestuale alla nascita del Rotary e che fu espressa al meglio da W. James, quando scrisse che l’universo progressista è concepito come una molteplicità, un pluralismo di forze indipendenti e cooperanti, più simile –per usare una metafora socio-politica- a una repubblica federale che a un regno. Più multiverso che universo. Il Rotary International e la Rotary Foundation sono intrisi del respiro internazionale e planetario di questa concezione.
La nozione corrente, che identifica il pragmatismo con l’attivismo produttivo, è imprecisa e ingenerosa. In realtà, per James, il pragmatismo è un ponte verso una forma di spiritualismo, verso una concezione dell’uomo che gli riconosce uno spessore che non si esaurisce nella sua dimensione biologica e che rivendica lo specifico umano della sua dimensione spirituale.
Nel 1908 (tre anni dopo la nascita del Rotary) Eucken pubblicava Il senso e il valore della vita, in cui sosteneva che essa è dotata di senso solo se diventa esistenza che si sviluppa nel rapporto con lo Spirito dell’Universo. Convergeva su queste visioni anche l’altro padre del pragmatismo, C. S. Peirce, secondo cui coscienza e spirito sono all’apice del processo evolutivo. Per questo Autore l’umanità sperimenta la forma più alta dell’evoluzione spirituale nell’amore. Non solo: la forma più matura di evoluzione non è quella dettata dal caso o dalla necessità, ma quella determinata dall’amore.
Basti un cenno per richiamare che amicizia e service, due valori basilari nella per il Rotary e che entrambi sono esperienze che rientrano nella fenomenologia dell’amore.
Anche per questo ho inteso sottolineare la pubblicazione di Mysticism ad opera di Wiliam James. Da un lato, gli studi sulla fenomenologia delle esperienze mistiche inaugurano una concezione laica dell’ascesi, tipicamente americana. Essa troverà espressioni elevate, ad esempio, nella figura di Benjamin Franklin e nella religiosità a-confessionale di John Dewey, dove l’esperienza religiosa altro non è che “morale toccata dall’emozione”.
Dall’altro lato, di lì a pochissimi decenni, ispireranno la cosiddetta “terza forza” della psicologia, imprimendo un fecondo orientamento umanistico-esistenziale all’opera di Rogers, Perls, May, Maslow, Wilberg, eccetera. Questa corrente si dedicherà in maniera originale e feconda allo studio delle peak-experiences, una gamma di esperienze che da sempre sono state oggetto privilegiato di riflessione per lo spiritualismo.
Quelle correnti della psicologia attueranno un fondamentale recupero delle esperienze che sono squisitamente umane e difficilmente riconducibili al substrato biologico della personalità (esperienze estetiche, creative, geniali, ascetiche, eccetera). All’interno di queste peak-experiences vengono indagati, come specifico umano, anche i sentimenti di amicizia, l’amore oblativo, la condivisione empatica del disagio, la formazione dei valori morali, la partecipazione solidale al destino di altri, eccetera.
Queste forme dell’esperienza umana sono al centro della visione dell’uomo accolta dal Rotary e filtrano concretamente nei progetti a cui il Rotary International sta lavorando da un secolo.
Non è lecito, quindi, trascurare lo sfondo di spiritualismo filosofico che pervade il pragmatismo e che colora la Weltanschauung entro cui matura il Rotary. Esso conferisce uno spessore di umanità e di sentimento (inteso come funzione psichica e non come romanticheria sdolcinata) al rigore della morale riformata, all’etica produttiva del calvinismo, al fanatismo dell’associazionismo religioso, all’aridità operaziona le del pragmatismo. Il Rotary crede con i fatti e con i suoi programmi che “nell’uomo si manifesti una forza spirituale superiore alla sua natura finita”.
La concezione dell’uomo, che matura attorno a Paul Harris e che intride le linee programmatiche del Rotary assume la fisionomia dell’umanismo americano.
Schiller (docente di filosofia a Los Angeles), in un’opera del 1904, ribattezzava Umanismo il suo pragmatismo e faceva proprio il noto aforisma di Protagora: “l’uomo misura di tutte le cose”. Il suo pensiero ricapitola i termini essenziali della filosofia americana di quegli anni: la coscienza come strumento per indagare la verità, il rapporto strumentale fra verità e utilità (è vera una convinzione che si dimostra utile), l’imperativo etico nel perseguimento dell’utile, la finalità sociale dell’azione, il contesto affettivo-relazionale delle esperienze più squisitamente umane. Riecheggiano nell’umanismo americano concetti basilari della filosofia classica, già rivisitati dall’umanesimo: i concetti di vero, giusto, utile, buono (il bello era stato irrimediabilmente affossato nella dissociazione industriale che contrappose l’utile al bello, a tutto vantaggio del primo).
Mi sembra evidente l’affinità fra questi capisaldi dell’umanismo americano e la “prova delle 4 domande”, che H. J. Taylor (1933) introduce nel rotary-pensiero e che mi permetto di sintetizzare (senza alterare) così: la nostra azione (affermazione, convinzione, finalità) risponde ai criteri: 1) del vero?, 2) del giusto?, 3) dell’utile?, 4) della buona volontà e dell’amicizia?

Al termine di questo excursus è possibile tratteggiare l’identità culturale del Rotary e l’universo di valori che lo caratterizza (ciascuno dei quali, in verità, meriterebbe di essere adeguatamente approfondito).
Il Rotary è anzitutto Associazione, espressione alta e consolidata dello spirito consociativo umano e di quell’associazionismo che, nell’America del ‘900, trovò terreno particolarmente fertile.
E’ un’Associazione Internazionale, frutto non tanto di un’ideologia espansionistica o imperialistica, quanto di una concezione del mondo come multiverso più che come universo.
E’ un’Associazione Internazionale di Uomini e Donne, cui riconosce il primato di individui e di cui ricerca la realizzazione a livelli di eccellenza della loro specificità soggettiva e delle loro potenzialità umane.
E’ un’Associazione che, in uomini e donne, ricerca e promuove lo specifico umano, un substrato di caratteristiche che culmina nelle peak-experiences e che permea di umanismo la ricerca del vero, dell’utile, del giusto e della buona volontà.
E’ un’Associazione di individui emergenti, di figure- leader nel proprio settore professionale, perché la professione è ritenuta uno degli ambiti più importanti, in cui il singolo esprime le proprie potenzialità.
E’ un’Associazione di individui, cui richiede di coniugare senza ambiguità eccellenza professionale e integrità morale, perché lo specifico umano è tenuto in considerazione prioritaria rispetto alla semplice affermazione sociale.
E’ un’Associazione i cui membri sono legati fra di loro da un rapporto di amicizia, che è forma di relazione specificamente umana, che coniuga sentimento, etica e impegno operativo.
E’ un’Associazione di servizio (service), i cui membri mettono le proprie elevate capacit à umane e professionali a disposizione della collettività, nella convinzione che esista un feed-back circolare fra evoluzione del singolo e del collettivo.
E’ un’Associazione ispirata all’impegno e all’efficienza operativa, perché i concetti sono ancora ritenuti “strumenti dell’agire” e fondamento delle quattro vie d’azione.
E’ un’Associazione che ha nel proprio DNA il rapporto con la trasformazione e che è
consapevolmente partecipe e impegnata nella trasformazione della società, vale a dire dell’Uomo e del Mondo.
E’, soprattutto, un’Associazione libera di Uomini liberi, di liberi pensatori nel senso etimologico del termine. Come scrisse Paul Harris, “il Rotary è nato in una terra di libertà; avrebbe potuto nascere in qualsiasi altra terra di libertà, ma non in un regime dispotico” (ed it. 1993, p. 228).

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