Sport e disabilità

di Rossella Buratti, avvocato, Socia del R.eClub 2050

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Il ruolo dello sport nella vita delle persone con disabilità è fondamentale perché:

  • Consente al disabile di recuperare o mantenere, a seconda del tipo di disabilità, l’efficienza motoria e fisiologica in un quadro più generale di salute fisica e mentale.
  • E’ un mezzo di integrazione sociale, in quanto, nel caso degli sport di squadra, consente al disabile di condividere il sacrificio nell’allenamento con i propri compagni, sentirsi utile e parte fondamentale di un gruppo.
  • E’ un incentivo a superare i propri limiti: attraverso lo sport il disabile prende coscienza delle proprie potenzialità e sfida gli avversari, ma soprattutto sfida se stesso nel tentativo di superare le proprie difficoltà.

Lo sport, pertanto, rispetto alla disabilità è sempre stato un veicolo di benessere e di stimoli volti al miglioramento della qualità della vita.

I limiti del corpo non sempre corrispondono ai limiti dell’animo, né tantomeno della volontà. Lo dimostrano quegli sportivi che invece di lasciarsi vincere dalla malattie, si impegnano per vincere gare, premi o brillare nella propria professione.

Lo sport è particolarmente importante per i bambini con disabilità, non solo per gli evidenti benefici che l’attività fisica ha per il corpo, ma in quanto li aiuta a superare la paura di affrontare i pregiudizi, evitando così un loro possibile isolamento e aiutandoli ad allargare la propria cerchia di amici con benefici enormi, sia dal punto di vista psicologico che dello sviluppo cognitivo e motorio.

Non esistono sport non praticabili da persone con handicap: sci, nuoto, equitazione, basket sono tutti sport sostenibili. Ciascuno può scegliere la disciplina più confacente alle proprie attitudini.

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Le Paralimpiadi

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Le Paralimpiadi sono il corrispettivo dei Giochi Olimpici tradizionali, dedicati, però, agli atleti portatori di disabilità fisiche.

I “Giochi di Stoke Mandeville” furono la prima espressione di competizione paralimpica. Ad organizzarli, nel 1948, il medico britannico Ludwig Guttmann, cui si fa risalire la nascita dello sport per persone disabili: dopo la seconda guerra mondiale presso l’Ospedale Militare di Stoke Mandeville nei pressi di Londra, era stato costituito un Centro di riabilitazione per persone con lesioni del midollo spinale e amputate, diretto dal Prof. Guttmann, che avviò la sport-terapia come attività riabilitativa e fondò il primo centro sportivo per persone disabili, dando il via ai Giochi Internazionali per Disabili. La manifestazione divenne sempre più importante, coinvolgendo anche atleti di altre nazioni.

Agli inizi degli anni ‘50 nel centro INAIL di Ostia si iniziò un lavoro specifico di riabilitazione per le persone colpite da lesione midollare, basato anche sull’attività di pratica sportiva. Il direttore dell’INAIL, Dott. Antonio Maglio propose al Prof. Guttmann di disputare l’edizione dei Giochi Internazionali per Disabili del 1960 a Roma, che nello stesso anno avrebbe ospitato la XVII Olimpiade.

I “Giochi Internazionali per Paraplegici” di Roma del 1960, ovvero la IX edizione internazionale dei “Giochi di Stoke Mandeville”, vennero riconosciuti, in seguito, come i primi Giochi Paralimpici estivi.

Il nome di “Giochi Paralimpici” venne però approvato dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) solo nel 1984.

Le prime Paralimpiadi invernali, invece, si tennero a Örnsköldsvik, in Svezia, nel 1976.

Dal 2001 il CIO e il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) hanno deciso di affidare di volta in volta alla medesima città l’organizzazione di entrambe le manifestazioni delle Olimpiadi, quella classica e quella riservata ai disabili.

Dopo la prima Olimpiade per Disabili si costituì la prima Federazione Italiana Sportiva per Disabili denominata ANSPI. Purtroppo l’impegno profuso non ha poi avuto il seguito auspicato, dal momento che, ancora oggi, i centri di riabilitazione in Italia non propongono (tranne qualche raro caso), la sport-terapia e l’avviamento allo sport delle persone disabili.

All’inizio degli anni ’80, sia per una forte spinta che arrivava dall’Europa, sia per pressioni dei giovani disabili che cercavano di praticare attività sportive in maniera strutturata, la vecchia Federazione riprese l’attività trasformandosi nel 1981 in FISHA – Federazione Italiana Sport Handicappati – in seguito riconosciuta dal CONI (1987). Nel 1990, la Federazione cambia nuovamente nome diventando FISD – Federazione Italiana Sport Disabili – che rappresenta e riunisce tutte le disabilità in campo sportivo.

Lo Stato ha attribuito compiti aggiuntivi alla Federazione Italiana Sport Disabili, individuandola quale Comitato Italiano Paralimpico (CIP), un ente istituito nel 2003 con la finalità, sia a  livello centrale sia a livello territoriale, in stretta collaborazione con il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), “di promuovere e garantire la massima diffusione della pratica sportiva delle persone disabili, in ogni fascia di età e di popolazione”, affinché ciascun disabile abbia l’opportunità di migliorare il proprio benessere e di trovare una giusta dimensione nel vivere civile proprio attraverso lo sport quale strumento di recupero, di crescita culturale e fisica, nonché di educazione dell’individuo disabile e non.

Ad oggi, il Comitato riconosce oltre quaranta entità sportive, tra federazioni, discipline paralimpiche, enti di promozione ed associazioni.

Se nel 1960 alle Paralimpiadi di Roma gli atleti furono 400 in rappresentanza di 23 nazioni, alle ultime Paralimpiadi di Rio del 2016 gli atleti erano 4.000, provenienti da più di 160 paesi e 22 le discipline sportive, con l’esordio di canoa e triathlon.

Un elemento fondamentale dello sport paralimpico è costituito dalle classificazioni funzionali, che consentono agli atleti di confrontarsi con avversari di pari livello e di avere la medesima opportunità di gareggiare in una competizione più equa possibile. Le categorie paralimpiche vengono determinate dall’IPC, International Paralympic Committee e sono definite per ogni sport. Si differenziano a seconda della patologia, del grado di disabilità e delle funzionalità fisiche dell’atleta. All’interno di ogni categoria possono essere presenti vari livelli della medesima disabilità, ma con uguale profilo funzionale (ossia le reali capacità tecnico-tattiche dell’atleta), che ne permettono il confronto sportivo e la competizione.

Le categorie sono evidenziate con una sigla composta da una lettera e due numeri: la lettera indica il tipo di sport, il primo numero indica la disabilità ed il secondo stabilisce il tipo di impedimento. Esempio: la Campionessa di velocità Martina Caironi gareggia nella categoria T42: dove “T” significa Track (Pista di Atletica), “4” sta per amputazione e “2” indica che l’amputazione è sopra al ginocchio.

Lo spirito dell’atleta paralimpico si comprende dalle parole di Luca Pancalli, Presidente del Comitato Italiano Paralimpico: all’intervistatore che gli chiedeva quale fosse l’evento/il gesto di solidarietà più bello che gli fosse capitato, ha risposto: “Quello che non ricordo” e commentando disse “perché la discrezione di chi l’ha fatto non mi ha consentito di accorgermene”.

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Special Olympics

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E’ un programma internazionale di allenamenti e competizioni atletiche per persone con disabilità intellettiva, che vede lo sport come mezzo per favorire la crescita personale, l’autonomia e la piena integrazione delle persone disabili.

La fondatrice di Special Olympics, Eunice Kennedy Shriver, nel 1968 diede il via ufficiale al movimento con i Primi Giochi Internazionali di Chicago, Illinois.

Nel mondo sono oltre 70 i Paesi che adottano il programma Special Olympics.
Lo sport, offrendo continue opportunità di dimostrare coraggio e capacità, diventa un efficace strumento di riconoscimento sociale e di gratificazione. Può essere palestra di vita, che offre agli Atleti Special Olympics la possibilità di valorizzare le loro diverse abilità e di spenderle produttivamente nella società.

La convinzione di Special Olympics è che il programma sportivo e le competizioni che propone aiutino le persone con disabilità intellettive a migliorarsi fisicamente e crescere mentalmente, socialmente e spiritualmente.

Il giuramento dell’Atleta Special Olympics è: “Che io possa vincere, ma se non riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze”.

Ogni anno una rappresentativa italiana viene chiamata a partecipare alternativamente ai Giochi Mondiali (Invernali o Estivi) o a quelli Europei. Oltre 3 milioni gli atleti coinvolti.

Ogni anno oltre un milione di volontari collabora alla riuscita di 81.129 grandi eventi nel mondo.
Special Olympics è riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale, così come il Comitato Paralimpico. Ma si tratta di due organizzazioni separate e distinte. Diverse le premesse, diversa la filosofia che muove le due organizzazioni. Mentre il Comitato Paralimpico opera coerentemente con i criteri dei Giochi Olimpici con gare competitive riservate ai migliori, Special Olympics ovunque nel mondo e ad ogni livello (locale, nazionale ed internazionale), è un Programma educativo, che propone ed organizza allenamenti ed eventi solo per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità. Le manifestazioni sportive sono aperte a tutti e premiano tutti, sulla base di regolamenti internazionali continuamente testati e aggiornati.

Da tre anni Special Olympics Italia organizza “Play the Games”, una lunga rassegna di eventi sportivi, con cui diffonde la missione del Movimento su tutto il territorio nazionale e che culminerà nei Giochi Nazionali Estivi, giunti alla XXXIII edizione.

L’evento vedrà protagonisti oltre 3472 atleti, che si cimenteranno in 20 attività sportive e si svilupperà tra maggio e giugno 2017 su tre location:

– Terni (Atletica, nuoto, tennis, tennis tavolo, rowing – canottaggio, golf).

– La Spezia (Basket, calcio, ginnastica artistica e ritmica, badminton).

– Biella (Nuoto, nuoto in acque aperte, bocce, equitazione, pallavolo, rugby, bowling, vela).

Tutti gli sport di squadra in calendario prevedono la partecipazione di atleti con e senza disabilità intellettiva, che giocano insieme componendo squadre miste.

Oltre alle gare riservate agli atleti dei team regolarmente iscritti ai Giochi Nazionali, sono previsti in tutte le tappe:

– YAP, un programma per giovani atleti (Young Athletes Program), di gioco e attività motoria per bambini piccoli con disabilità intellettiva, per introdurli al mondo del movimento prima di poter entrare a far parte, all’età di 8 anni, delle attività sportive tradizionali e/o unificate di Special Olympics.

– MATP (Motor Activity Training Program) un programma di allenamento studiato per bambini ed adulti con disabilità intellettive gravi e gravissime e disabilità fisiche e/o sensoriali con associata una disabilità intellettiva.

L’impegno comune e la condivisione di medesimi valori nell’ambito degli Special Olympics dimostrano quanto lo sport rappresenti un’opportunità di crescita per tutti. Non solo per gli Atleti, che ad ogni evento insegnano come la competizione sportiva sia finalizzata, in primo luogo, ad un mettersi in gioco nella vita, ma anche per i Partner, Tecnici, Familiari, Volontari e tutte quelle persone che hanno avuto la fortuna di conoscere, nella disabilità intellettiva, una parte di mondo.

Special Olympics fortifica, in tutti, il concetto dell’essere parte di un’unica squadra; non riducendolo ad un momento, che vede Atleti con e senza disabilità intellettiva giocare insieme durante una partita di calcio oppure di basket, ma rimandando ad un concetto esteso, più profondo, che affonda le proprie radici nella conoscenza e nel confronto. Una dinamica che si attiva, anche all’esterno, attraverso la sensibilizzazione del territorio e di tutte le comunità che ospitano i Giochi, Regionali o Nazionali che siano.

I Giochi Nazionali Invernali, tenutisi a Bormio nel gennaio scorso, hanno visto un coinvolgimento attivo da parte di numerose scuole, una dimostrazione nitida di un percorso di crescita graduale e costante, che non si è limitato all’evento in sé ma ha aperto, attraverso un pieno coinvolgimento di ognuno, alla costruzione di nuove prospettive.

A farsi promotori dell’educazione e di una cultura del rispetto delle differenze sono proprio i giovani, le generazioni future ed è per questo che a margine dell’importante Protocollo d’Intesa firmatocon il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), Special Olympics potrà contare su un valore aggiunto in grado di alimentare in ogni realtà sociale e territoriale, attraverso l’introduzione di un programma specifico nel POF (Piano dell’Offerta Formativa) delle scuole di ogni ordine e grado, questo processo di trasformazione culturale.

Special Olympics Italia è impegnata fortemente per creare una società realmente inclusiva ed i Team aderenti devono considerarsi indispensabili punti di riferimento territoriali e preziosi compagni di viaggio in questo impegnativo percorso.

Nell’ambito di “Play The Games” organizzato da Special Olympics Italia si è appena tenuta la XV Edizione dei Giochi Interregionali 2017 di Atletica leggera allo Stadio Comunale di Vigevano (sabato 22 e domenica 23 aprile), con la partecipazione dei Team Lombardi, di numerosi Team del Piemonte e di uno del Veneto, per un totale di 215 atleti, ognuno dei quali si è cimentato in almeno 4/5 gare. Molto commovente la Cerimonia di apertura ufficiale dei giochi, con l’accensione del tripode e la sfilata delle delegazioni, il Torch Run e il giuramento dell’atleta. Oltre 70 i volontari impegnati per un totale di 16 ore di competizioni. Molto intensi i momenti delle numerose premiazioni: ogni atleta ha ricevuto una medaglia per ogni singola partecipazione.

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Amico Campus Sport

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Il Progetto Rotary “Amico Campus”, rivolto a persone con disabilità intellettiva e ai loro genitori/accompagnatori, è nato nell’anno 2009 su iniziativa di alcuni Rotary Club del Distretto 2050, presso le sedi di Salice Terme (PV) e Lazise (VR), con lo scopo di offrire agli ospiti una settimana di svago e divertimento.

Nell’anno 2012 mi è stato affidato l’incarico di realizzare un terzo Campus, con connotazione sportiva. E’ nato così “Amico Campus Sport”, che ha avuto sede per le prime 3 edizioni presso la Casamadre delle suore Pianzoline di Mortara (PV) e dallo scorso anno presso il Seminario Vescovile di Vigevano (PV).

L’edizione 2017 si svolgerà, sempre a Vigevano, nella settimana dal 19 al 26 maggio.

La missione di Amico Campus Sport è quella di consentire a tutti i ragazzi di cimentarsi in diverse discipline sportive, a prescindere dalle loro disabilità e dalle loro attitudini. Lo sport viene visto come occasione di svago, di divertimento, di amicizia, di socializzazione, di inclusione.

Le attività vengono svolte presso centri comunali e strutture sportive private, sempre con l’ausilio di istruttori specializzati: calcio, pallacanestro, pallavolo, nuoto, equitazione, fitness, golf, tennis, beach volley, bocce, pallamano, corsa, yoga, calcetto, taiji quan, balli di gruppo, hockey su prato, tiro con l’arco, moto terapia, bowling, salto in lungo, vortex, pesca sportiva.

Anche quest’anno è prevista la partecipazione alla Family Run, una camminata/corsa non competitiva, di circa 5 km, con partenza dalla Piazza Ducale e arrivo in Castello e che vede coinvolti migliaia di partecipanti. Il gruppo “Amico Campus” lo scorso anno era costituito da oltre 130 iscritti, tutti con il loro palloncino con i colori del Rotary: giallo con la scritta blu “Amico Campus”.

Da sottolineare la naturalezza con cui i ragazzi si avvicinano ad attività sportive che magari non hanno mai praticato, per mancanza di opportunità o perchè i loro genitori non li ritenevano in grado.

Il primo anno di Campus avevamo previsto una sorta di graduatoria per ogni sport e la sera assegnavamo le coppe ai primi tre classificati. Ma già dopo i primi giorni ci siamo resi conto che i ragazzi affrontavano lo sport senza alcun spirito competitivo, bensì come occasione di amicizia e di divertimento. E prediligendo i giochi di squadra agli sport individuali. Così abbiamo optato per una premiazione con medaglie a tutti indistintamente. E l’entusiasmo dei ragazzi nel ricevere e mostrare agli altri le medaglie, ci ha fatto comprendere che era la scelta giusta.

Nelle ultime edizioni abbiano particolarmente curato l’aspetto dell’inclusione, coinvolgendo alcune scolaresche in mini tornei di basket, pallamano, calcio, con squadre miste.

Ho notato che i ragazzi del Campus si comportano nella medesima maniera, sia quando praticano sport tra di loro, sia durante le attività con ragazzi normodotati. Mentre sono questi ultimi a mutare il proprio atteggiamento.

In particolare, lo scorso anno, durante una gita di 2 giorni presso l’Albergo Etico di Asti abbiamo trascorso qualche ora allo Stadio Comunale, per svolgere attività di atletica. Mentre i nostri ragazzi si cimentavano in qualche giro di pista, una scolaresca di Asti si stava allenando al lancio del vortex, piuttosto svogliatamente e con qualche risolino di scherno verso i meno dotati tra i loro compagni. L’allenatore ha accettato di buon grado di far partecipare i nostri ragazzi. E a quel punto gli allievi di Asti si sono risvegliati improvvisamente, si sono tutti attivati per insegnare ai nostri, li incoraggiavano e si incoraggiavano tra di loro, rispettavano il proprio turno: sembravano aver ritrovato lo spirito sportivo.

Un’altra intensa esperienza è stata la “Partitissima del cuore” allo stadio comunale di Vigevano, tra la squadra costituita dai ragazzi del Campus con i volontari delle associazioni locali contro le “Old Stars” del Vigevano Calcio. Iniziata con le foto e le interviste agli ex calciatori professionisti (che non si ritrovavano da anni) e finita con la vittoria dei ragazzi del Campus. Le “vecchie glorie” non si erano mai confrontati in campo con ragazzi disabili e, dopo un evidente impaccio iniziale, si sono subito adattati al gioco, a farsi portare via la palla e a farsi fare goal. Ma l’aspetto più bello è che i ragazzi erano del tutto consapevoli che l’altra squadra cercava di farli vincere a tutti i costi e si divertivano tantissimo proprio per questo, contagiando con le loro risate tutti gli altri giocatori, l’arbitro, i guardalinee, il pubblico. Alla fine eravamo tutti in campo con le lacrime agli occhi.

E come non citare la giornata di moto terapia con il Campione di motocross freestyle, di fama mondiale, Vanni Oddera. Dopo aver eseguito le loro esibizioni di motocross acrobatico, tra l’entusiasmo incontenibile dei ragazzi (più di 60), Vanni e il suo Team hanno proposto un giro di pista a tutti e non c’è stato nemmeno un ragazzo che si è tirato indietro. Erano tutti euforici, urlavano di gioia (e anche di paura, quando si trovavano sulle rampe!), sopra il rumore assordante dei motori, coperti dalla polvere della pista. Quel giorno ho capito il significato del motto di Vanni e della sua moto terapia “Ho imparato che le persone possono dimenticare ció che hai detto, le persone possono dimenticare ció che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire. Questa é la Mototerapia. Questo é sentirsi vivi”.

Gli amici del Campus ci hanno insegnato che nello Sport non ci sono limiti: di fronte ad una disciplina sportiva che a noi sembra impraticabile da parte loro, i ragazzi sembrano inconsapevoli delle proprie difficoltà e ci fanno ogni volta ricredere. Così ho visto Giulia, paraplegica, nuotare in piscina con un bellissimo sorriso; Nella, con difficoltà di deambulazione, segnare una rete durante una partita di hockey su prato, dopo aver attraversato tutto il campo: Davide, autistico, passare spontaneamente la palla al compagno di squadra durante il torneo di basket; Bernard, schizofrenico, ballare senza alcun ritmo su un palco davanti a cento persone e divertirsi; Enzo, affetto da sindrome dell’X fragile, salire su una moto da corsa e non voler più scendere.

All’inizio del primo anno di Amico Campus Sport abbiamo ideato un motto per caratterizzare lo spirito del Campus: “Barcollo, ma non mollo. I ragazzi lo applicano alla lettera. Se lo ricordano tra loro per incitarsi prima di una nuova sfida e lo ricordano impietosamente a noi organizzatori quando ci vedono stanchi o quando ci rifiutiamo di partecipare personalmente a qualche attività sportiva. Per loro è inconcepibile che un “normodotato” possa avere delle remore a cimentarsi negli sport organizzati per loro. Una frase che ripetono spesso è “se ci riusciamo noi, tu che scusa hai per non provarci ?”.

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