Essere mamma oggi

di Cristiana Bosetti e Valentina Agnesi, imprenditrici, Socie dell’eClub 2050

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Il pensiero di Cristiana…

La nostra società sta cambiando e, con essa, anche il ruolo della donna. Purtroppo si tratta di cambiamenti lenti, che spesso faticano ad attecchire.

Alla luce dell’evoluzione storica degli ultimi trent’anni, si potrebbe dire che la condizione della donna sia migliorata enormemente, ma, personalmente, ritengo che la strada verso un’equiparazione dei sessi sia ancora lunga e parecchio accidentata. Per averne una prova, basta guardarsi intorno, accendere un televisore e osservare qualche famoso programma di intrattenimento o praticamente tutti i reality show, in cui la donna è presentata come un oggetto del desiderio, svilita, quasi spersonalizzata; la cui bellezza stereotipata ci chiarifica molto quale sia l’idea della donna ricercata dai telespettatori maschili. Se, ahimè, la televisione italiana è uno speculum della società italiana, mi permetto di dire che la strada verso l’emancipazione femminile è simile a un Esodo biblico.

Indubbiamente, negli ultimi decenni, le donne italiane hanno potuto ottenere enormi successi, ma la società continua a ostacolare la conciliazione tra maternità e lavoro. La resistenza di forti tradizioni e preconcetti radicati nella mentalità di molte comunità e realtà regionali italiane è forse la causa principale. Quante volte si sente criticare una donna perché non rinuncia al lavoro per accudire i figli?! E, spesso, sono altre donne a fare questa critica. Purtroppo l’antica consuetudine che vede la donna a casa e l’uomo al lavoro è talmente radicata da rendere quasi inutile ogni tentativo di cambiamento. A tal proposito, è di pochi mesi fa la polemica suscitata dalla gravidanza dell’On. Giorgia Meloni. Suscitando lo stupore di una buona fetta di italiani, questa Parlamentare ha scelto di correre ugualmente per il Campidoglio. I commenti sono stati sessisti e, aggiungerei, talvolta ridicoli, ma indice di un Paese le cui tradizioni devono essere ancora svecchiate. Voglio anche ricordare che è da pochi decenni che nella scuola pubblica italiana è stata cancellata dai curricula di studi la famosa ora di “economia domestica”, un chiaro esempio di come la società vedesse il ruolo della donna relegato dietro i fornelli. Un altro esempio è l’arruolamento delle donne nelle Forze Armate, che risale solo al 2000: nemmeno vent’anni fa. Ancora oggi, quindi, non dobbiamo stupirci che ci siano persone che pensano alle donne in politica, al lavoro, a capo di un’azienda o, perché no, di una multinazionale, come un elemento istrionico, da palcoscenico. Mi viene in mente l’esempio letterario dell’Ecclesiazuse di Aristofane, in cui il commediografo, nel 391 a.C., metteva in scena un esempio ante litteram del teatro dell’assurdo: una commedia in cui le donne prendono il controllo politico della Atene classica, dando vita ad un governo paradossale. Mi si permetta di dire che oggi non è ancora semplice per una donna lavorare ed essere mamma. Per riuscire a coltivare una professione, ci devono essere le condizioni per poterlo fare, condizioni che, spesso non ci sono, di conseguenza una donna si trova costretta a far riferimento ai propri genitori o parenti. Senza un aiuto, diventa quasi impossibile svolgere entrambe le cose. Su questo versante, sono numerosissimi i passi in avanti da compiere.

Recentemente, Papa Francesco ha dichiarato che “Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico”: un concetto molto interessate, specialmente quando si pensa che molte madri sono costrette a lavori, spessissimo sottopagati, per poter aumentare le entrate di famiglia e garantire un benessere maggiore ai propri figli. Papa Francesco ha compreso che l’amore di una mamma per la propria famiglia è qualcosa di assoluto, che non cala se la mamma va al lavoro e, sacrificando il suo tempo, si impegna per il futuro dei suoi figli. Ma la carriera? Spesso si accusa una donna manager di anteporre il lavoro alla cura della famiglia. A questa domanda voglio rispondere con un’altra suggeritami da un noto personaggio, che la sapeva lunga sulla parità di uomo e donna: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Non esistono forse, al mondo, milioni di uomini stacanovisti?!

Molte donne devono imparare a conciliare lavoro e famiglia, senza ombra di dubbio, ma è, altrettanto vero, che, se non dovessero lottare il doppio di un uomo per raggiungere gli stessi risultati, forse potrebbero “prendersela comoda”, passatemi l’espressione colloquiale.

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… ed il pensiero di Valentina

Qu’est-ce que c’est que cette histoire de Fantine ? C’est la société achetant une esclave.

À qui ? À la misère.

À la faim, au froid, à l’isolement, à l’abandon, au dénûment. Marché douloureux. Une âme pour un morceau de pain. La misère offre, la société accepte.

La sainte loi de Jésus-Christ gouverne notre civilisation, mais elle ne la pénètre pas encore. On dit que l’esclavage a disparu de la civilisation européenne. C’est une erreur. Il existe toujours, mais il ne pèse plus que sur la femme, et il s’appelle prostitution.

Il pèse sur la femme, c’est-à-dire sur la grâce, sur la faiblesse, sur la beauté, sur la maternité. Ceci n’est pas une des moindres hontes de l’homme.

Au point de ce douloureux drame où nous sommes arrivés, il ne reste plus rien à Fantine de ce qu’elle a été autrefois. Elle est devenue marbre en devenant boue. Qui la touche a froid. Elle passe, elle vous subit et elle vous ignore ; elle est la figure déshonorée et sévère. La vie et l’ordre social lui ont dit leur dernier mot. Il lui est arrivé tout ce qui lui arrivera. Elle a tout ressenti, tout supporté, tout éprouvé, tout souffert, tout perdu, tout pleuré. Elle est résignée de cette résignation qui ressemble à l’indifférence comme la mort ressemble au sommeil. Elle n’évite plus rien. Elle ne craint plus rien. Tombe sur elle toute la nuée et passe sur elle tout l’océan ! que lui importe ! c’est une éponge imbibée.

Elle le croit du moins, mais c’est une erreur de s’imaginer qu’on épuise le sort et qu’on touche le fond de quoi que ce soit.

Hélas ! qu’est-ce que toutes ces destinées ainsi poussées pêle-mêle ? où vont-elles ? pourquoi sont-elles ainsi ?

Celui qui sait cela voit toute l’ombre.

Il est seul. Il s’appelle Dieu.

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Che cos’è, in fondo, questa storia di Fantine? È la società che compera una schiava.
Da chi? Dalla miseria.
Dalla fame, dal freddo, dall’isolamento, dall’abbandono, dallo squallore. Doloroso mercato! Un’anima per un pezzo di pane: la miseria offre, la società accetta.

La santa legge di Gesù Cristo governa la nostra civiltà, ma non la compenetra ancora. S’è detto che la schiavitù è sparita dalla civiltà europea: errore! Esiste sempre, ma pesa soltanto sulla donna e si chiama prostituzione.

Pesa sulla donna, ossia sulla grazia, sulla debolezza, sulla beltà, sulla maternità. E questa non è già una delle minori vergogne dell’uomo.
Al punto di questo doloroso dramma al quale siamo giunti, nulla più resta a Fantine di quello che è stata un tempo. Divenendo fango, è diventata marmo: chi la tocca sente freddo. Passa, vi subisce e v’ignora, figura disonorata e severa: la vita e l’ordine sociale le hanno detto la loro ultima parola, le è capitato tutto quello che è possibile. Ha sofferto tutto, sopportato tutto, tutto provato, tutto patito, tutto perduto, tutto pianto; è rassegnata di quella rassegnazione che assomiglia all’indifferenza, come la morte al sonno. Non teme più nulla. Cada sopra di lei ogni nembo, passi su di lei tutto l’oceano, che cosa le importa? È una spugna imbibita.

Almeno, ella lo crede; ma è uno sbaglio immaginarsi di potere stancare il destino e toccare il fondo di qualcosa.
Ahimè! Che cosa sono, dunque, tutti codesti destini, spinti così alla rinfusa? Dove vanno? Perché sono così foggiati?

Colui che lo sa vede tutte le tenebre. Ed è solo. Si chiama Dio.

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In queste poche righe Victor Hugo riesce ad affrescare la figura di una donna disperata, che tutto ha provato per vestire la figlia, per darle da mangiare e per salvarla da un mondo crudele e spietato rinunciando alla propria solare bellezza, ai propri capelli d’oro e ai denti di perla e annullandosi come donna, come persona e come essere umano. Un dipinto che ben descrive la situazione della donna in un’epoca profondamente maschilista, durante la quale una fanciulla incinta al di fuori del matrimonio costituiva spesso un problema di cui liberarsi e in cui l’esclavage existe toujours,… mais il ne pèse plus que sur la femme.. c’est-à-dire sur la grâce, sur la faiblesse, sur la beauté, sur la maternité. Ceci n’est pas une des moindres hontes de l’homme (la schiavitù esiste sempre, ma gravita soltanto sulla donna, vale a dire sulla grazia, sulla debolezza, sulla bellezza, sulla maternità. E questo non è certo una delle minor vergogne dell’uomo).

Qualche anno fa mi è capitato tra le mani un libro appartenuto alla mia bisnonna dove venivano impartite alle signorine dell’epoca delle lezioni, rigorosamente in lingua francese, in merito al comportamento da tenere una volta celebrate le nozze. Il compito di una brava moglie, diceva l’autore del libro, è quello di tenere compagnia al proprio marito, farne risaltare i talenti e le qualità, intrattenere gli ospiti. L’autore aggiungeva infine che, qualora la giovane sposa si renda conto di essere più brillante del proprio consorte, essa deve celare tale superiorità in modo da non sminuire la dolce metà e, anzi, utilizzare la propria intelligenza a beneficio dell’uomo.

Senza dubbio nel corso degli anni le cose sono cambiate, ma concordo con Cristina nel sostenere che molte volte le donne non sono equiparate agli uomini. Mi è capitato di ascoltare i racconti di alcune amiche che, recatesi in una nuova realtà lavorativa per un colloquio, si sono sentite chiedere: “Vedo che porta la fede, avrà mica intenzione di avere figli?” e rispedire a casa con un laconico “…la ricontatteremo…” dopo aver risposto che si, un bambino non era da escludere completamente.

D’altronde ci sono Paesi come la Svezia dove vengono assegnati, dopo la nascita di un bimbo, 90 giorni di congedo pagato rispettivamente alla mamma e al papà, più 300 giorni da spartirsi. Una condanna dei papà ai pannolini? Sembra che grazie a questa politica i bambini, potendo beneficiare della presenza della figura paterna, crescano più sicuri mentre i papà acquistano una maggiore responsabilità nei confronti dei nuovi nati e le mamme possono proseguire o intraprendere una carriera professionale con più facilità.

Non si tratta solo di parole nel vuoto, ho visto con i miei occhi gli effetti positivi di una situazione simile in Francia. Qualche anno fa è nata la sorellina di una mia cara amica parigina ed è stato il papà, dopo che la mamma ha trascorso il tempo necessario con la piccola, ad andare in paternità. Odyssée ora ha 12 anni è perfettamente equilibrata, è una ragazzina solare e vivace mentre la madre ha potuto dedicarsi interamente alla carriera e ottenere i risultati sperati. Scelta incosciente? E perché mai. Se ci pensiamo bene, i migliori chef del mondo sono uomini (dove è finita la donna regina del focolare domestico, l’unica a saper spignattare?) e anche la moda è sempre più maschile.

Il problema, a mio avviso, risiede nel fatto che, alcune persone, passatemi l’espressione: “predicano bene, ma razzolano male”. Un conto è impostare un discorso sull’importanza della donna, sul fatto che siamo tutti uguali e che è importante e arricchente la diversità, un altro è il lato pratico poiché è in quel momento che viene fuori il vero pensiero. Pensate a questa frase: sono le mogli dei soci a preparare da mangiare deliziosi manicaretti. Questo significa solo una cosa: le donne non socie, ma mogli.

Per fortuna il Mondo è estremamente vario e episodi di questo tipo sono sempre meno frequenti.

Sono sempre stata dell’opinione che a differenziarci non sia il sesso o il colore della pelle, ma la nostra soggettività, indipendentemente da tutto. Un bambino è figlio del papà quanto della mamma e non c’è peccato né reato a voler una famiglia e a rincorrere i propri sogni, da nessuna delle due parti.

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