Come comunicare il Rotary?

Giovanni Maino, P.P. e socio del R.C. Voghera (Distretto 2050). 

Che il Rotary abbia problemi di comunicazione non è una novità. Le poche statistiche disponibili sull’idea che gli altri hanno di noi sono imbarazzanti. Pochi ci conoscono, mentre i più saputelli ci bollano, o come l’emanazione pubblica di società segrete, o come una confraternita di affaristi o, quando va bene, come dei personaggi danarosi che, sentendo il peso della ricchezza, si ripuliscono la coscienza facendo un po’ di beneficenza.

Se noi siamo convinti di essere profondamente diversi da come ci vedono (quando ci vedono!), evidentemente,  o il modo di presentarci alla società, oppure i nostri canali di comunicazione sono sbagliati.

 

Eppure un tempo il Rotary era tenuto in grande considerazione. Durante le ricerche per una relazione sulla storia dei primi anni dell’associazione, mi sono imbattuto in articoli di importanti giornali americani nei quali, non solo l’attività, ma anche solo l’opinione del Rotary su determinate questioni aveva un certo spicco. E quei nostri soci che hanno dato il loro contributo alla creazione dell’UNESCO e dell’ONU non erano anche dei rotariani, ma erano dei delegati del Rotary.

Allora perché adesso siamo finiti così ai margini, ignoti ai più, denigrati da alcuni?

La classica, scontata e superficiale risposta che normalmente si ottiene a tutti i quesiti di questo tipo è che i tempi sono cambiati. D’accordo, saranno cambiati i tempi, ma certamente sono cambiati i rotariani.

Il peso di qualunque aggregazione di persone è sempre stato determinato dai suoi componenti e dai suoi leader.

Evidentemente nel tempo abbiamo sbagliato qualcosa, sia nella scelta di taluni o molti dei componenti, sia talvolta nell’elevare a rango di guida ai vari livelli chi non era adatto a ricoprire tale posizione.

 

Certamente siamo meno attractive. Solo vent’anni fa era piuttosto raro sentirsi opporre un rifiuto all’invito a entrare a far parte del club o ricevere l’indisponibilità di un personaggio di spicco per una relazione. Oggi entrambe le evenienze pare si manifestino con una certa frequenza.

Le cause? Forse non siamo valutati per quello che siamo o per quello che, magari erroneamente, riteniamo di essere. O forse siamo realmente troppo distanti dalla realtà che ci circonda e poco incisivi nell’affrontare le nuove istanze di questo mondo in evoluzione sempre più rapida. Siamo mica rimasti indietro?

 

Ho dei dubbi, ma non la certezza, che alla base di tutto ci siano le reiterate e insensate campagne di espansione aventi come solo scopo l’incremento delle disponibilità economiche a livello centrale (RI e RF), che, se da un lato permettono i grandi progetti a livello planetario, dall’altro vanno a discapito della qualità del nucleo fondante dell’associazione, il club, quello che crea l’immagine sul territorio.

Magari la colpa sta invece nel nostro piccolo universo di club, quando ci lasciamo attrarre dall’affiliare il personaggio noto, ma non disponibile a dedicarsi ai nostri ideali, anziché puntare di più su chi si è guadagnato il rispetto e la considerazione della propria comunità con una vita esemplare improntata a un severo rispetto dell’etica professionale e all’impegno nel sociale.

 

Le mie sono solo ipotesi, non ho risposte certe basate su dati di fatto, però spesso mi sono chiesto se sia più incisivo per l’immagine della nostra associazione l’esempio quotidiano di ciascuno di noi nella sua comunità oppure lo sia lo “sparare” il logo End Polio Now sul Colosseo. Mi sto chiedendo se l’immagine del Rotary abbia tratto un qualche vantaggio dalla campagna promozionale sulla stampa nazionale fatta quest’anno (se non erro, 65.000 Euro spesi dai Distretti italiani e circa 190.000 dati dal RI). Ci ha forse reso attractive? Avrà fatto cambiare qualche giudizio malevolo? Avrà almeno incuriosito qualcuno al punto di cercare di capire chi siamo veramente? Ho seri dubbi.

Probabilmente sono pessimista, mentre invece è probabile che a migliorare la nostra immagine debba concorrere tutto ciò. Dall’impegno a livello personale e locale, alla pubblicità nazionale, alle grandi azioni internazionali.

 

Ma, a mio avviso, se vogliamo migliorare la percezione che gli altri hanno di noi, è necessario un deciso cambio di rotta. Si può fare, ma deve partire dalla base.

La nostra immagine può avere un qualche beneficio se i nostri club sono formati, senz’ombra di dubbio alcuno, da persone notoriamente capaci, irreprensibili, veramente disponibili a mettersi al servizio della comunità. E se queste persone partecipano, come club, in maniera assidua e fattiva alla vita della loro comunità. E se il peso della loro opinione, per chi sono e per quello che fanno, individualmente e come gruppo, è importante nella comunità.

Se poi eleggeranno ai livelli superiori i migliori di loro, non gli arrivisti in cerca di soddisfazione per il proprio ego o per i propri interessi (personaggi che a quel punto non dovrebbero più trovar posto neanche nei club) forse qualcosa nell’immagine che si ha di noi potrà cambiare.

A quel punto non saranno necessarie sterili campagne pubblicitarie; a darci visibilità sarà il nostro peso reale, sarà la nostra capacità di venire incontro alle istanze della società. Proprio come era nei primi anni.

 

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