Etica nel nuovo millennio

Enzo Cossu, avvocato, Governatore del Distretto R.I. 2050 nelle annate 1987/88 ; 1992/93 ; 1994-95, socio del R.C. Brescia Franciacorta Oglio (Distretto 2050).

Il tema che tratterò lo chiamo “un segno dei tempi”.

Sono i nostri tempi ancora gravissimi, ma che, nello stesso tempo, possono indurci a guardare al futuro con una vena di speranza.

E la speranza potrà diventare realtà se, infatti, torneremo a meditare sulle cose e sul mondo, se ritroveremo la capacità di distinguere il bene dal male, la verità dal meschino utile personale, la solidarietà che deve esistere tra coloro che appartengono ad una stessa società dalla feroce e disumana sete del potere e della potenza.

Platone che, per tante felicissime intuizioni, seppe spesso precorrere gli avvenimenti futuri, scrisse: ” verrà un tempo in cui occorrerà un popolo di filosofi. Il tempo, invece in cui l’utile verrà chiamato morale, quello sarà il peggiore dei tempi, e la vita umana intesa nel suo vero significato e valore, vi correrà un rischio terribile”.

Ha il sapore di una preveggenza della situazione che ci circonda. È uno spaventoso sfacelo, di cui ogni giorno abbiamo prove allucinanti, che deriva dall’aver confuso l’utile con la morale.

Sarebbe però un errore considerare la nostra come un’epoca di semplice scetticismo. La nostra è un’epoca nella quale trionfano l’inganno e la menzogna, l’inaffidabilità e il disprezzo della legge, nell’ottica di un’arrogante e proclamato utilitarismo. “Seguite i vostri interessi, credete a ciò che vi sembra utile, fate come vi pare” è l’insegnamento che diffondono con le parole o con l’opera molti di coloro che “contano” un insegnamento che sta vieppiù inquinando la nostra libertà, il nostro progresso, il nostro sviluppo umano e civile.

La libertà non può crescere e nemmeno sopravvivere in un’atmosfera di puro utilitarismo, d’attenzione soltanto al proprio “ego”, di sovrano disprezzo degli altri, delle loro speranze, dei loro sogni, delle loro individualità. La libertà non ha bisogno di norme comuni del viver civile, di rispetto senza timore e senza riserve degli esseri umani gli uni per gli altri. Ha bisogno di piccoli e grandi atti di virtù, di una rete di lealtà e di dedizione assoluta. Questa è etica.

Lo stesso sviluppo economico esige qualcosa di speciale. Ha bisogno di persone con una grande carica di autonomia, d’intraprendenza, capace di rischiare, ma anche di concepire l’impresa non come un’isola, bensì come una cellula del grande organismo dell’umanità. Ha bisogno di gente capace di fare progetti, di scoprire e di inventare. Ma anche di gente disposta a sacrificare il profitto immediato nell’ottica dei vantaggi che gli altri, e soprattutto le generazioni future, potranno godere. Anche questa è etica.

E siamo qui oggi ad interrogarci sui problemi etici della vita umana per costringerci a meditare che, senza una morale, ne soffre innanzitutto l’immagine che noi abbiamo di noi stessi.

Purtroppo, travolti dal ritmo ossessivo della vita moderna o condizionati dal gretto interesse egoistico, molti, moltissimi oggi misconoscono il valore dell’etica in una fuga continua dalla responsabilità.

Ma noi rotariani non possiamo non interrogarci, non possiamo non indagare sui vastissimi abissi interni dell’uomo: se una società come la nostra è sempre più afflitta dal male, dalla corruzione dall’ingiustizia, dalla mancanza di solidarietà, è di fondamentale importanza che si combatta per un ritorno alla responsabilità delle proprie azioni.

Questo è il grande problema: parliamo di noi perché siamo potenti ma insieme fragili; perché abbiamo il dono infinito della libertà, del libero arbitrio, che è la capacità di perfezionare, ma anche di distruggere.

C’è chi costruisce e chi distrugge. C’è chi ammazza, massacra e ferisce in varie parti del mondo ma ci sono gli ospedali pietosamente approntati dalla carità umana per curare quelli che altri hanno crudelmente colpito.

Siamo, noi uomini, una specie incredibilmente strana. La nostra natura a noi non basta, non ci basta l’istinto.

Allora il pensiero è andato alla ricerca di un punto di riferimento e si è interrogato su chi è colui che cammina prima con quattro, poi con due ed infine con tre gambe. Il famoso quesito della sfinge non era un semplice indovinello, ma un quesito drammatico degno di quei tremendi ragionatori che erano i greci.

Le generazioni che si sono susseguite nell’arco di due millenni e mezzo hanno faticato per risolvere il quesito dell’uomo e innumerevoli soluzioni ci sono pervenute nel volger dei secoli. Il mondo si trova ancora a riflettere sulla risposta: una risposta che ha le sue radici antiche nel pensiero greco e la sua linfa viva e vitale nel messaggio di Cristo. Scrisse Erasmo da Rotterdam ne “Il lamento della pace” con riferimento al principio base dell’etica cristiana: “Innumerevoli sono i precetti dei filosofi, svariate le leggi di Mosè, molteplici gli editti dei sovrani, ma Egli dice: ” Uno solo è il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri”. Ne è uscito un principio che ha per protagonista l’Uomo, che valorizza ed esalta l’uomo. L’uomo – ed è un concetto recepito (e purtroppo spesso dimenticato) anche nella nostra Carta Costituzionale – come persona, come singolo essere umano, in qualsiasi momento, in qualsiasi condizione del suo esistere, ha in se stesso motivi sufficienti per essere rispettato all’infinito. Consentitemi una brevissima parentesi. Proprio questo concetto dell’uomo è stato al centro delle discussioni che hanno visto impegnati giuristi, magistrati, avvocati, politici, giornalisti sulla scottante materia dei rapporti tra il cittadino e la giustizia. E le nuove norme emanate, anche se frammentarie e insufficienti, sono almeno un passo verso la costruzione di una società in cui l’uomo rappresenti davvero il bene più prezioso da tutelare, prima di qualsiasi altro.

Riprendo il tema per ricordare che ogni uomo è una persona, che ogni uomo è un essere, come dicono i tedeschi, “Selbsein” (cioè unico in se stesso). Un essere che ha dentro una destinazione personale che nulla e nessuno possono interrompere.

Questo tema dell’etica che stiamo svolgendo è pure il grande tema dell’uomo come fine nella sua individualità, come essere intangibile e insostituibile. Questo esistere dell’uomo come individuo, come persona fa dire da Giulietta a Romeo: “Tu non sei un Montecchi, tu sei Romeo”. Ecco dunque il tipo di società che noi sentiamo e vogliamo. Ecco il messaggio che fa da norma per la convivenza umana, che consente a tutti l’esercizio della libertà, che permette di portare l’umanità sempre a maggior progresso di civiltà, che è alla base di un’etica superiore.

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Purtroppo, torno a ripetere, viviamo in un mondo e in una società dove certi concetti di valore eterno sembrano fuori moda, anticaglie di un medioevo superato dai tempi e dalle esigenze della vita moderna, dove contano soltanto il potere e il profitto, “per omne fas et nefas” come scriveva causticamente Tito Livio. E all’uomo contemporaneo non importa se “per arrivare” è giocoforza sovvertire principi come onestà, fratellanza, giustizia, amore e rispetto degli altri uomini. Se occorre calpestare anche l’ombra della morale.

Oggi i politici non fan che discettare di “regole”, senza tener conto – come poi alcuni dicono – che le regole son fatte apposta per essere violate: siamo circondati di tristi, inquietanti, squallidi esempi di un imperante disprezzo delle leggi, cioè delle “regole”.

E vengo finalmente al tema dell’etica professionale, che costituisce l’oggetto della nostra conversazione. Qualcuno forse penserà che io mi stia dilungando per un tempo eccessivo a parlare di etica pura. Si trattava però di una premessa obbligata, perché i principi sono gli stessi, essendo (per parafrasare il linguaggio del mondo scientifico) quella professionale una sorta di etica “applicata”.

Il Rotary ha sempre guardato con estrema attenzione al comportamento dei propri soci che svolgono il lavoro nell’ambito aziendale o nel campo delle libere professioni. Non è un caso che una delle azioni fondamentali del sodalizio sia proprio quella conosciuta come “azione professionale”.

Essa esige da tutti i soci non solo un comportamento di estrema correttezza ed onestà, ma soprattutto che siano d’esempio a tutti gli altri. E tutti comprendiamo quanto sia vitale un nobile esempio in questa particolare congiuntura storica, dominata dall’egoismo più sfrenato, dalla corruzione, dal prossimo visto soltanto come possibile fonte di reddito, e non come simile e prossimo. Fondamentale è per il Rotary cercare d’imporre il proprio stile nel modo di concepire la vita, l’organizzazione sociale, la realizzazione di un giusto progresso civile ed anche economico sociale. E ciò sarà anche lo strumento per poter offrire il servizio di chi può di più a favore dei più sprovveduti, di coloro che hanno estremo bisogno di vedersi donare amorevolmente comprensione, sollecitudine, aiuto fraterno.

Tutto ciò un giorno potrà essere realtà in conseguenza dell’acuita, raffinata, ingentilita sensibilità dell’animo degli uomini, resi particolarmente attenti a un modo generoso di concepire i rapporti tra le persone. In conseguenza dell’esempio dato alla comunità improntando ad altissima rettitudine l’esercizio degli affari e della professione. In conseguenza di un comportamento ineccepibile e generoso in ogni occasione e del modo diverso d’interpretare il senso del rapporto fra gli uomini e la comunità.

Va da se che ogni singola categoria del mondo del lavoro ha una propria deontologia. Però, non potendo scendere all’esame della deontologia di ogni singola professione, credo di poter riassumere e condensare il concetto affermando che tutti i professionisti debbono ispirare la loro condotta nella vita pubblica e privata a correttezza, dignità, decorro così da non compromettere il prestigio e la reputazione propri della categoria professionale cui appartengono. E poiché spesso la professione si schiera come diga invalicabile contro l’egoismo e la disonestà di alcuni uomini, allora essa assurge un ruolo altissimo di ministero e di apostolato che esige sempre adamantine persone che sappiano resistere alle tentazioni e alle passioni umane, disposte perfino a rifiutare la propria opera di fronte all’immoralità della quale esse non devono mai farsi complici.

Non si interpretino le mie parole come una concessione alla retorica: di retorica ne abbiamo avuta anche troppa negli ultimi tempi, roboanti parole finalizzate spesso solo a coprire vergognose realtà. Non è retorica, è concreta inderogabile esigenza che i professionisti tornino a svolgere le rispettive attività, come adempiendo a una missione nell’interesse di chi a loro si affida, ed anche nell’interesse pubblico, siccome ispirato alla tutela del bene comune. Insisto che il professionista deve essere un leale ed onesto cittadino, chiamato a servire con coscienza e competenza una collettività in continua evoluzione, e perciò bisognosa di valori giuda.

Questo, questi concetti che ho esposto, io sono convinto che siano l’anello di congiunzione tra etica e professione.

Naturalmente il Rotary non può non portare al delicatissimo tema il proprio contributo, e non solo di pensiero, proprio perché la questione morale ha acquistato carattere di priorità assoluta ed è diventata esigenza essenziale di vita, è un fatto di cultura e di mentalità. Del resto il Rotary nacque perché agli occhi di Paul Harris erano ben presenti, oltre al tema della solitudine dell’uomo, anche le terribili condizioni di vita della Chicago del 1905, oppressa dalla corruzione dilagante, dalla mafia, dalla disoccupazione. Non a caso il motto fondamentale del sodalizio fu, fin dai suoi primi passi, “servire al di sopra di ogni interesse personale”. E perciò il Rotary, che è un’associazione prevalentemente di professionisti qualificati, si è sempre posta e non potrà mai non continuare a porsi, con senso di responsabilità e dì assoluta integrità morale, l’obiettivo di contribuire al processo di moralizzazione e di restituzione dei valori perduti, essenziali per un reale progresso e per una convivenza civile e fraterna tra tutti i cittadini di un paese e tra tutti gli uomini della terra.

“Non si richiedono atti eroici o imprese memorabili, ma un impegno coerente, silenzioso ed onesto. Un impegno da portare vanti con tenacia, perché la continuità può vincere qualsiasi ostacolo. Solo così l’uomo lascia un’impronta indelebile del suo passaggio, perché ogni azione umana si trasmette agli altri secondo il proprio valore, sia di bene, sia di male.”

Molti centri rotariani hanno anche studiato ed elaborato codici di comportamento dei professionisti rotariani, codici che contengono norme di carattere generale ed anche norme specifiche. È chiaro comunque che non tutte le regole possono essere scritte, ed è altrettanto chiaro che qui io non posso dedicarmi a un esame dettagliato di esse. Posso però osservare che quelle norme che il Rotary ha detto rappresentano una guida in più per tutti coloro che sinceramente operano per una migliore qualità della vita. Non solo: quelle norme saranno domani una preziosa eredità che noi lasceremo ai nostri giovani, a tutti i giovani aspiranti rotariani, affinché sappiano che essere del Rotary è un onore e un privilegio.

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Mi resta d’aggiungere solo alcune brevi considerazioni circa le azioni concrete che il Rotary dovrà porre in essere affinché l’ideale di cui abbiamo discorso diventi un giorno una luminosa realtà.

Io sono convinto che, per restaurare l’impegno dell’etica anche nelle professioni, i passi più urgenti siano di ridestare le coscienze, di far rinascere un uomo nuovo, animato da una fede profonda nell’amore e nel rispetto verso tutti gli altri uomini.

Sono profondamente convinto che sia assolutamente improrogabile un ritorno all’etica, ma non come prodotto di una speculazione filosofica, bensì come nobile sentimento calato nell’intimo del cuore di ogni uomo. Come nel campo del diritto, al di la di più o meno astruse elucubrazioni giuridiche, si ammette l’esistenza di uno “ius gentium”, di un diritto naturale, così credo esista una morale naturale, comune a tutti gli uomini e che si riassume nel messaggio di Cristo “Amatevi gli uni gli altri”. Amare il prossimo condensa in se tutti quei principi sui quali si basa ogni civile società, e cioè libertà, giustizia, onestà, verità, solidarietà.

Uno spassionato esame della storia ci rivela che le società davvero libere e civili sono state poche e spesso hanno avuto vita breve. Però questo non deve indurci a non continuare a combattere. Una società libera e civile, o è anche morale, o non è né libera, né civile. Perché nasca e poi sopravviva è necessario un risveglio culturale e spirituale. Come i polmoni hanno bisogno dell’aria, una società libera e civile ha bisogno di verità, di virtù, di etica.

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Ciò per noi del Rotary ha il sapore di un dogma. Fin dal nostro nascere nel 1905 abbiamo dedicato i nostri cuori, le nostre energie, il nostro lavoro, il nostro impegno di servizio alla lotta incessante, spesso rischiosa, contro le guerre, le violenze, le ingiustizie, le oppressioni, gli egoismi.

Abbiamo saputo costruire qualcosa, siamo riusciti ad ottenere qualche risultato, abbiamo anche costretto i responsabili della politica (mondiale e nazionale) a non fingere più d’ignorare i gravissimi problemi che affliggono l’umanità. Però il panorama che presenta il mondo attuale è ancora estremamente inquietante, la maggioranza delle nazioni continuano a soffrire torture e vessazioni sotto infami tirannidi; due terzi dell’umanità vivono ancora, meglio sopravvivono in condizioni bestiali, al di là del limite della miseria, privi di tutto, di viveri, di assistenza sanitaria, d’istruzione, di una casa, di giustizia, di libertà. Certo migliore è la situazione degli altri popoli, anche se spesso nemmeno lì son tutte rose: lo dimostrano le difficoltà ed i problemi in cui si dibatte anche il nostro Paese.

Pensate alla cancrena che minaccia le istituzioni, allo sfacelo del Sud, allo scontento ed alla sfiducia che potrebbero diventare violenza incontrollabile. Tanto innumerevoli sono le cause di quanto avviene, ma – come dissi all’inizio – tutte riconducibili all’avere fatto dell’interesse personale l’unico credo, all’aver dimenticato o volutamente ignorato il supremo dettame dell’etica, che cioè tutti gli uomini sono uguali e che li devono unire l’amore e il rispetto reciproco.

Consapevoli delle sofferenze che ci circondano, a questo dobbiamo lavorare, cioè a ricostruire una morale basata sull’amore e l’amicizia. E voglio chiudere ricordando l’ultima strofa di una bella poesia di Umberto Saba:

“Fanciullo, od altro sii tu che mi ascolti, in pena viva o in letizia (e più se in pena) apprendi da chi ha molto sofferto, molto errato, che ancora esiste la Grazia, e che il mondo TUTTO IL MONDO ha bisogno d’amicizia”.

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