Il caso Englaro

Angelo Fiori, professore emerito di Medicina Legale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, presidente onorario del Gruppo degli ematologi forensi italiani, membro del Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità.

Il caso di Eluana Englaro riproduce in termini quasi identici il noto caso statunitense di Terry Schiavo sul quale nel 2005 il dibattito è stato altrettanto intenso e carico di una forte emotività per i beni in gioco. Procurare volontariamente la morte sopprimendo il sostegno vitale, acqua e cibo,  di un paziente non terminale ma in stato vegetativo persistente è un omicidio ? è omicidio eutanasico? Non occorre far riferimento né a principi costituzionali né ai codici per dare una risposta positiva che chiunque può dare, se la domanda è posta in modo onesto e corretto. Formule evasive, tentativi imbarazzati di negare la natura eutanasica dell’atto non possono in alcun modo cancellare la realtà. La differenza che si incontra nei due casi paralleli è che per Eluana è lo stesso padre che sta combattendo  una lunga battaglia, per ottenere dai tribunali l’autorizzazione e mettere fine ad una vita indubbiamente sofferta e precaria mentre delle semplici suore, che da anni accudiscono Eluana desiderano continuare ad assisterla. Per Terry Schiavo, invece i genitori si sono opposti  disperatamente ed è stato l’ex marito a richiedere la drammatica decisione finale conclusasi con la morte avvenuta il 31 marzo2005. In entrambe le pazienti il quadro clinico è simile, uno stato vegetativo persistente e non una malattia  terminale, in entrambi i casi si è affidata ai giudici la sentenza di morte. In entrambi si è poco credibilmente presunto il desiderio da parte delle paziente di porre fine alla vita forse per vaghe opinioni espresse nell’epoca antecedente la malattia.

Non desideriamo ripercorrere argomenti inutili quali la remota possibilità di risveglio che, purtroppo, in questi casi non ha alcuna reale consistenza. Altro è il problema. A quante persone simili motivazioni, con identiche conclusioni, potrebbe applicarsi? Si riapre una strada che con la fine della seconda guerra mondiale si riteneva conclusa? la strada che ha portato il regime nazista a sopprimere circa 80.000 disabili?

Questo è il grande problema di oggi e di domani. O la società accetta il carico di sofferenza, di difficoltà organizzative, e di spese che la massa dei disabili congeniti od acquisiti comporta, così come ha fatto fino ad oggi pur con tante difficoltà ed  inadeguatezze; oppure si lascia trasportare sulla deriva di decisioni di morte  con argomenti vari ai quali è in realtà sottesa  la decisione di eliminare il problema.

La Corte di Appello di Milano con sentenza del 9 luglio 2006 elaborata sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla Cassazione, ha dato l’autorizzazione, con effetto immediato, alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione ad Eluana Englaro, basando la propria decisione essenzialmente sul principio di autodeterminazione, nella presunzione che questa fosse la volontà della giovane in epoca antecedente l’incidente stradale del 1992. I giudici hanno addirittura indicato le modalità con le quali la paziente deve essere condotta alla morte stabilendo che “l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale con sondino naso-gastrico, la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali e di altre procedure di assistenza strumentale avvengano in hospice od altro luogo di ricovero confacente”.

Si è detto, con opinabile soddisfazione, che questa sentenza, peraltro appellata dalla procura generale, anticipa di fatto il testamento biologico, che da tempo il parlamento intende fare oggetto di una legge. È una valutazione incontestabile la quale, però, ci dimostra quali potranno essere in futuro le conseguenze che una legge di questo tipo, non  auspicabile nelle forme progettate nei vari disegni di legge, potrà produrre avendo poi come sponda applicativa, in casi di difficoltà, la giurisprudenza creativa dei giudici di merito e di legittimità.

Non senza sorpresa abbiamo appreso, da autorevole fonte medica ordinistica, che indurre la morte di Eluana per disidratazione e digiuno non configura alcuna violazione del codice deontologico. Con il magico termine di “autodeterminazione” si ritiene di poter risolvere tutto e quindi, in spregio al precetto ippocratico che vieta l’eutanasia  – “non darò ad alcuno un veleno mortale neppure se me lo chiedesse” – si accetta il principio della richiesta di suicidio, addirittura presumendola in mancanza della possibilità di averne diretta, attuale e non retrodatata  richiesta da parte del paziente.

Il rimpallo giudiziario plurimo che da anni tormenta il caso Englaro è la dimostrazione evidente dell’abnormità che connota la via giudiziaria alla soluzione di così tragiche vicende che non può essere affidata a nessun giudice, che a sua volta si avvale dei medici il cui ruolo è e deve essere estraneo a questi percorsi di morte. Questo caso ha addirittura prodotto l’approvazione, da parte del Parlamento italiano, di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato che peraltro la Corte Costituzionale ha dichiarato inspiegabilmente inammissibile. La Corte di Appello di Milano a sua volta ha congelato la richiesta di sospendere l’esecutività del proprio decreto del mese di luglio. L’ultimo filo che lega ancora Eluana alla vita è nelle mani della Cassazione che quando questa rivista sarà stampata potrebbe avere respinto il ricorso della Procura Generale; e potrà ancora, forse, dipendere dalla disponibilità di medici e strutture sanitarie ad attuare la decisione della Corte d’Appello.

Nel rapporto medico-paziente, una volta instauratosi, il principio di autodeterminazione del paziente ha limiti che ineriscono l’altro dei due protagonisti,  il medico, cui sono imposti doveri morali e professionali non cancellabili con esercizi dialettici e con presunte neo-regole che per ora appartengono solo all’area della ideologia, purtroppo riversatasi, non senza resistenze e sussulti – si pensi ai diversificati pareri che vari gradi del doppio giudizio civile hanno espresso fino alla decisione della Corte d’Appello di Milano- nella invasività della giurisprudenza che sembra voler dettare ogni cosa dell’operato medico, intimorendo i medici oppure incoraggiandoli a compiere atti estranei alla loro funzione, facendoli diventare strumenti della volontà altrui, non più guidati dalla loro millenaria deontologia, e per di più divisi tra loro in obbedienza  ai diversificati pareri e voleri di una società  frammentata e litigiosa. Medici senza più dignità e senza più autonomia, ma servi di pareri mutevoli e spinti spesso, per essere politicamente corretti,  a nascondere la verità autentica dei loro atti dietro giustificazioni inconsistenti che giungono a negare la natura di omicidio volontario eutanasico che si deve attribuire alla morte di un paziente mediante deliberata soppressione totale di acqua e cibo, che pure non si negano a nessuno. Non a caso la Regione Lombardia, tramite il direttore generale della Sanità, ha dichiarato la propria indisponibilità alla soppressione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana, motivando che il personale sanitario non può sospenderle perché “verrebbe meno ai suoi obblighi professionali e di servizio” essendo le strutture sanitarie “deputate alla presa in carico diagnostico- assistenziale dei pazienti”.

Il fardello che le famiglie e la società si portano sulle spalle a causa delle gravi disabilità congenite ed acquisite – come nei casi di Eluana e di Terry – è senza dubbio immane e si aggiunge ai tanti problemi delle società attuali. Ma la decisione di sopprimere questi innocenti con lo strumento presudolegalitario delle sentenze o con qualunque altro strumento, è incivile e disumano tanto più quando esistono molte persone che generosamente sono disposte a qualsiasi sacrificio per poter assistere questi sfortunati.

È comprensibile che di fronte alla perdurante, crescente incertezza del diritto dimostrata dalla contradditoria varietà delle numerose decisioni giudiziarie nel caso Englaro ed in altri, si ritenga ormai indispensabile una legge regolatrice. Ma è altrettanto comprensibile il timore che  un nodo così complesso, di portata generale e perenne, possa essere risolto da una legge sul testamento biologico che fosse priva di sufficienti protezioni nei confronti del rischio che essa apra la strada all’eutanasia. È questo il rischio  concreto che il caso Englaro, ed altri analoghi, prospettano e che si auspica  che lo stato italiano riesca ad evitare respingendo le suggestioni provenienti da alcuni stati europei e d’oltre atlantico ed evitando  soluzioni ambigue  capaci di produrre, nella prassi, lo sconvolgimento del millenario rispetto ed aiuto che si sono da sempre ritenuti doverosi  nei confronti dei disabili di qualsiasi età e condizione sociale.

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