Il prisma colorato della sostenibilità

di Valentina Agnesi, imprenditrice, e Rossella Ognibene, avvocato, Socie dell’eClub 2050

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Sostenibilità può essere contemporaneamente un’idea, uno stile di vita, un modo di produrre, di alimentarsi, di progettare, per alcune persone è poco più che una vacua parola in voga. Certo è che il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità di degrado dell’ambiente in cui viviamo. Gli sconvolgimenti climatici, i terremoti ed altri disastri naturali hanno aumentato la consapevolezza dei Paesi, ma anche dei singoli individui, che il futuro del pianeta e della vita è nelle nostre mani, poiché, come ha sostenuto il Presidente Barack Obama in occasione della Conferenza internazionale sui Cambiamenti Climatici, Cop-21, di Parigi dello scorso dicembre, la nostra è “l’ultima generazione che può ancora invertire la tendenza e salvare il pianeta”.

E’ per tali motivi che oggi lo sviluppo sostenibile non è più soltanto una parola vuota ed alla moda, ma un’espressione con cui ci si riferisce da una proposta per l’economia che presuppone uno stile di vita in grado di soddisfare i nostri bisogni senza depredare il presente, offrendo speranza alle generazioni future.

Ma cosa si intende, in concreto, con sostenibilità? Si tratta di un concetto costituito da diverse componenti connesse: ambientale, economica, sociale e culturale ed è per tale motivo che occorre analizzarlo sotto diversi aspetti.

Sviluppo sostenibile – la nozione coniata a fine anni ‘80
Il concetto di sviluppo sostenibile trovò la sua definizione nel rapporto “Our Common Future” pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Bruntland) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.

Il concetto fu elaborato sulla base di due elementi fondamentali: l’ambiente quale dimensione essenziale dello sviluppo economico e la responsabilità intergenerazionale nell’uso delle risorse naturali.

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Sostenibilità come life-style

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Biologico, sostenibile, organico. Tante definizioni e una certezza: un numero sempre maggiore di persone sceglie lo stile di vita eco-sostenibile che fa tendenza a tavola, a casa, al lavoro, nel tempo libero, nella cura del corpo e nell’abbigliamento.

I fashion brand nazionali e internazionali assecondano le richieste eco-friendly dei clienti (secondo la IX edizione del Global Lifestyle Monitor, l’Osservatorio Cotton USA che rileva gusti, preferenze e comportamenti d’acquisto, il 57% dei consumatori cerca capi di abbigliamento eco-friendly) con tessuti non trattati e riciclati, impegnandosi al tempo stesso a promuovere un business fondato sulla responsabilità sociale perché, oggi, vestire green è cool. Poiché la moda è in grado di influenzare persone e cultura i designer internazionali utilizzano oggigiorno il suo potere per rendere il Mondo un posto migliore. Sulla scena internazionale la campagna Detox my fashion lanciata da Greenpeace ha l’obiettivo di raggiungere, entro il 2020, l’eliminazione di tutti gli additivi chimici pericolosi nella produzione dei vestiti. Ancora, Laura Strambi, produce la linea etica YOJ indossata sul red carpet del Vanity Fair Oscar Party 2016 da Livia Firth, moglie dell’attore Colin.

E’ però l’alimentazione uno degli aspetti più importanti dell’healthy leaving. L’alimentazione salutare diventa pratica quotidiana grazie alla scelta dei cibi giusti e ai suggerimenti dei nutrizionisti. L’organic world comprende alimenti che vengono prodotti senza utilizzare concimi, diserbanti, insetticidi o anticrittogamici chimici di sintesi, ma solo fertilizzanti organici e sostanze di derivazione naturale espressamente autorizzate. Si tratta di alimenti che riducono al massimo gli additivi usando solo quelli strettamente necessari, come gli agenti lievitanti, ma di origine naturale come acqua, sale da cucina, acido citrico, azoto. D’altronde biologico non è più una tendenza, ma un modo per ringraziare Madre Terra. Bio significa vita e il bio-logico richiama la logica della vita.

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Sostenibilità come Green Architecture

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Idee verdi e progetti innovativi migliorano la qualità della vita nelle città e scongiurano lo spauracchio dell’Urban Jungle. E’ così che la sostenibilità entra nel mondo dell’architettura e, prendendo in prestito un’affermazione di Renzo Piano: costruire pensando al futuro, non solo tenendo conto della resistenza fisica di un edificio, ma pensando anche alla sua resistenza stilistica, negli usi del futuro e nella resistenza del pianeta stesso e delle sue risorse energetiche”.

Molti sono i progetti volti a garantire il risparmio energetico e la tutela della salute. Sul piano internazionale, alcuni esempi sono rappresentati dallo Yacht Club di Montecarlo, un edificio di lusso ma anche eco: celle fotovoltaiche, pannelli termici solari e un sistema di raffreddamento che usa l’acqua del mare fanno sì che il progetto rispetti gli elevati standard di sostenibilità richiesti dal Principato. Ancora, il Grimaldi Forum, un edificio nato eco-rispettabile con isolamento termico naturale, che utilizza acqua di mare come fonte di energia rinnovabile per il condizionamento dell’aria, produce emissioni di gas ad effetto serra quasi nulle, ha una gestione termica centralizzata per ottimizzare l’illuminazione e il condizionamento ottenendo così la certificazione ISO 14001 (tale sigla identifica una serie di standard internazionali relativi alla gestione ambientale delle organizzazioni).

La città più sostenibile d’Italia è invece Cassinetta di Lugagnano, comune sito nell’orbita milanese che ha strenuamente resistito ad entrare nell’orbita del capoluogo lombardo optando invece per scelte sostenibili. Caratteristiche di questo piccolo, ma esemplare centro urbano, sono l’educazione della popolazione a un consumo responsabile, un Pgt a crescita zero che ha come obiettivo quello di preservare le zone agricole circostanti oggi patrimonio dell’Unesco e il recupero degli edifici dismessi per far fronte alla crescita della domanda di abitazioni.

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Sostenibilità come literary genre

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Scenari apocalittici in cui la nostra Terra, inquinata e malata, trasuda particelle tossiche, il mare e gli oceani che ricoprono ogni lembo dei territori conosciuti, stagioni sconvolte a causa del riscaldamento del pianeta e le nostre vite in balia di un susseguirsi di eventi estremi fanno da sfondo, dagli Stati Uniti all’Italia, a un nuovo genere letterario che narra le drastiche conseguenze dell’inquinamento e della nostra riluttanza ad accettare che le catastrofi naturali possono davvero accadere. Si tratta della climate fiction, un sottogenere della fantascienza. Secondo alcuni, tra cui il regista Ridley Scott, scartabellando nella letteratura passata, è possibile trovare esempi di cli-fi (climate fiction) ante litteram come Jules Verne, la cui penna, che narra vicende ambientate nello spazio, nell’aria, sul fondo dei mari, delinea avventure in un futuro possibile, in pieno stile odierno.

In Italia il primo autore ad occuparsi di queste tematiche è Bruno Arpia con “Qualcosa là fuori”, mentre sullo scenario internazionale la regina indiscussa del genere è Margaret Atwood che si impone con romanzi che trattano di una natura ferita a morte (“L’ultimo degli uomini”, “L’anno del diluvio”, “L’altro inizio”) e che descrive le proprie opere non come “fantascienza, perché ciò che accade nei miei romanzi non è solo possibile, ma da qualche parte potrebbe accadere”.

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Sostenibilità come Green Physics Development

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Ancora più dei romanzi, a fare spiccare il volo alla nostra immaginazione è il mondo della scienza e le sue incredibili scoperte. Secondo alcuni siamo alle soglie di una nuova era grazie alle controverse e, spesso avvolte da mistero, scoperte in campo di LENR (Low Energy Nuclear Reactions anche chiamate “fusione fredda”, reazioni nucleari a debole energia) che, secondo alcuni, sarebbero il futuro del mondo, o quasi. Il tanto discusso E-Cat di Rossi, nei confronti del quale la NASA ha posizioni altalenanti, potrebbe, almeno si vocifera, essere in grado di sfruttare le LENR, contribuendo a dare un impulso green al nostro futuro.

Ad ogni modo una cosa è certa, l’attenzione di un sempre più grande numero di scienziati di oggi è rivolta alla salvaguardia della Nostra Terra.

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Sostenibilità come tutela della salute

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The Lancet, giornale medico Inglese  pubblica i risultati di uno studio durato 10 anni del Public Health Ontario e dell’Institute for Clinical Evaluative Sciences sulla base di un campione di 4.4 milioni di persone tra i 20 e i 50 anni. 2.2 milioni di persone tra i 50 e gli 85 anni.

La ricerca rivela che lo smog è legato ad un aumento dei casi di demenza. Rispetto alla media della popolazione, chi vive a meno di 50 metri da una grande arteria stradale ha un rischio aumentato del 7% di esserne colpito. Chi vive tra 5 e 100 metri del 4%. Chi vive fra 100 e 200 metri del 2%. In tutto, fino a un caso su dieci di demenza fra coloro che abitano a pochi passi da una strada trafficata potrebbe essere attribuito all’inquinamento.
Le cause di questa correlazione non sono chiare (non è escluso ad esempio che sia il rumore a causare danni al cervello). Ma gli studi di questo tipo da tre anni a questa parte sono in aumento. E gli indizi che l’inquinamento faccia male all’organismo ben al di là degli organi più esposti cominciano col tempo a diventare troppi per essere ignorati.

Giovanni Viegi, direttore dell’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare del Cnr di Palermo ed ex presidente della Società europea delle malattie respiratorie, ci spiega che

“Per quanto riguarda il cervello, sotto accusa ci sono le particelle inquinanti più piccole, quelle sotto ai 0,1 micrometri”. Inquinanti così minuti sono capaci di superare una barriera rigida come quella che avvolge l’organo più pregiato.
E come è messa l’Italia ?

Nel 2016 le nostre città hanno continuato a sforare i limiti di legge e non sono state adottate significative contromisure, se non le occasionali giornate di blocco del traffico. Torino ha superato i tetti di legge per le polveri sottili per un totale di 86 giorni, Milano e Venezia per 73, Padova e Treviso per 68, Roma per 41.

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Sostenibilità come rimedio all’esodo dei milioni di rifugiati ambientali, in fuga dai cambiamenti climatici

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Sono ormai milioni di persone quelle che fuggono da conflitti scatenati  per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche, fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di sussistenza locali. E’ la figura dei ‘rifugiati ambientali’ e, almeno all’ oggi, tali migrazioni ambientali sono per la stragrande maggioranza migrazioni interne (gli “sfollati interni” rimangono entro i confini del proprio Stato).

Secondo un rapporto presentato dall’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2015 i cosiddetti ‘sfollati interni’ sono stati 27,8 milioni (in 127 Paesi), costretti ad abbandonare la propria casa per catastrofi naturali, conflitti, violenze. Tra le cause che portano a conflitti e disastri ambientali, però, ci sono anche i fenomeni del land grabbing e del water grabbing (accaparramento di terra e acqua), i processi di ‘villaggizzazione’ forzata (che negli anni Ottanta hanno causato in Etiopia un milione di morti per carestia), e poi inquinamento, smaltimento intensivo di rifiuti tossici, scorie radioattive da bombardamenti.

Il Norwegian Refugee Council spiega che “nel corso degli ultimi 8 anni è stato registrato un totale di 203,4 milioni di spostamenti collegati ai disastri”.

Ma alle catastrofi climatiche si devono aggiungere le migrazioni causate  da mutamenti ambientali indotti dall’uomo; desertificazione, innalzamento dei livelli delle acque, inaridimento  e l’avvelenamento del suolo e delle acque causato dalla tossicità delle industrie agricola, mineraria e manifatturiera, oltre che dai bombardamenti con sostanze chimiche e radioattive.

Poi c’è la questione della terra acquistata per la richiesta di bio-combustibili dall’Europa e quindi sottratti all’agricoltura. Tra le nazioni coinvolte nell’acquisto di terreni c’è anche l’Italia che partecipa all’operazione con quasi un milione di ettari, principalmente in Africa. Cosa accade in quelle terre? Il terreno acquistato per coltivazioni destinate al bio combustibile  non produce più cibo e  ne conseguono abbandono e migrazioni.

Indipendentemente da come si intende il concetto di sostenibilità: una moda (si spera non passeggera), un’innovativa (e a volte alquanto bizzarra) frontiera dell’edilizia, un nuovo genere letterario, una tutela per la salute dell’umanità e per porre rimedio agli esodi causati dagli sconvolgimenti climatici ed ambientali, o un modo per vivere in prima persona un film di Guerre Stellari grazie a entusiasmanti scoperte scientifiche, una cosa è certa: ne abbiamo bisogno, perché la Terra, la Nostra Terra, ne ha bisogno. Compito di ogni Paese è garantire il benessere dei propri cittadini, ma ciò non è e non sarà, purtroppo, mai più possibile, se non verrà garantito quello del primo tra essi: Madre Terra.

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