La giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Rossella Buratti, avvocato, socia del Rotary eClub 2050.

 

La “Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne” del 1993 all’art.1, descrive la violenza contro le donne come: “Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno 1 donna su 3 ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. La violenza maschile è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne da 16 a 44 anni in tutto il mondo.
Lo studio dell’OMS, basato sugli ultimi venti anni, rivela che la violenza contro le donne è endemica nei paesi industrializzati, come in quelli in via di sviluppo. Le donne risultano più a rischio nel Sud-est asiatico, dove più della metà (58,8%) degli omicidi avviene per mano di mariti, fidanzati o compagni. A seguire, troviamo l’Europa (41,2%), le Americhe (40,5%) e infine l’Africa (40,1%). Una ricerca dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali del 2014 rivela un record di abusi nei paesi ad alto tasso occupazionale
Restringendo lo sguardo all’Italia, si stima che 1 donna su 3, tra i 16 e i 70 anni, sia stata vittima di maltrattamenti maschili nell’arco della sua vita e che circa un milione siano le italiane che hanno subito stupri o tentati stupri. Altrettanto allarmante è il dato secondo cui il 33,9% di coloro che subiscono violenza per mano del proprio compagno e il 24% di quante l’hanno subita da un conoscente o da un estraneo non sporge denuncia o comunque non ne parla a nessuno.
Nel nostro Paese sono calati gli omicidi in genere, ma sono aumentati gli omicidi “di genere”, che hanno come vittime le donne. Dai 528 omicidi complessivi del 2012 si è passati ai 502 del 2013, mentre per i femminicidi, all’opposto, dai 159 registrati due anni fa si è arrivati l’anno scorso a quota 179, in pratica una vittima ogni 2 giorni. Con questi numeri, il 2013 si qualifica come l’anno con la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai registrata in Italia, pari al 35,7% delle vittime totali, consolidando un processo di femminilizzazione nella vittimologia dell’omicidio particolarmente accelerato negli ultimi 25 anni. Una tendenza confermata anche quest’anno, già dalla prima settimana di marzo: proprio nella giornata dedicata alla Festa della Donna, ben 3 donne hanno trovato la morte per mano dei loro compagni.
E’ opportuno sottolineare, infatti, che quasi il 70% degli omicidi di genere si consuma nel contesto famigliare o affettivo, ad opera del marito o del convivente, degli ex coniugi e degli ex partner e, in casi residuali, dei partner non conviventi.
Tra i moventi, oltre a quello passionale, al conflitto quotidiano, alla litigiosità anche banale, al movente economico, sono da segnalare i cosiddetti “femminicidi del possesso”, che sono scatenati dalla decisione della vittima di porre fine alla relazione di coppia e si riscontrano per lo più nei primi 90 giorni dalla separazione; ma si verificano anche in coppie ancora unite, in cui la donna ha solo manifestato l’intenzione di separarsi.
Risulta in crescita anche il numero dei matricidi, spesso compiuti per ragioni di denaro o per una esasperazione dei rapporti derivanti da convivenze imposte dalla necessità.
Per quanto riguarda le modalità, le armi da fuoco si confermano come strumento principale nei casi di femminicidio, seguite dalle armi da taglio, ma 1 donna su 3 nel 2013 è stata uccisa “a mani nude”, vale a dire per percosse, strangolamento o soffocamento, come rivela un rapporto Eures, che mette in relazione tale modalità di esecuzione ad un “più alto grado di violenza e rancore”.
E sempre in ambito domestico si consuma la maggior parte delle altre forme di violenza, che si estrinsecano in abusi sessuali, maltrattamenti fisici e psicologici, minacce, intimidazioni, stalking, deprivazione economica, mobbing familiare.
Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, a tutti i ceti economici, a tutte le fasce di età.
E le Istituzioni? In realtà questa piaga sociale sempre più diffusa, solo da pochi anni è diventata tema di politiche nazionali e di dibattito pubblico, oggetto di leggi speciali, di ricerche, di campagne di sensibilizzazione e di formazione, di iniziative istituzionali a livello nazionale e locale.
Il nostro Legislatore ha effettuato una serie di recenti interventi nel campo della violenza di genere, in via preventiva e in via punitiva, con lo scopo, non sempre raggiunto, di offrire alle donne strumenti di tutela sempre più incisivi, nei confronti di ogni forma di violenza -fisica, sessuale, psicologica ed economica-, anche mediante l’introduzione di nuove figure di reato ovvero di pene più severe per i reati già previsti.
Eccone una breve panoramica:
-Legge n. 66 del 15 febbraio 1996: “Norme contro la violenza sessuale”
-Legge n. 269 del 3 agosto 1998: “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”
-Legge n. 154 del 2001: “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”.
-DL 23 febbraio 2009 n. 11, che ha introdotto all’art. 612 bis del Codice Penale il reato di “atti persecutori”, meglio noto come “stalking”
-Legge n. 38 del 23 aprile 2009: “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”
-Decreto Legge 14.08.2013 n. 93 sul femminicidio, (convertito nella Legge 15 ottobre 2013, n. 119), la cui ratio è stata così evidenziata dal Capo dello Stato: “il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.
Strumenti efficaci?
Ad oggi l’inefficacia/inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta di aiuto delle donne vittime di violenza all’interno della coppia sembrerebbe comprovata dalla considerazione che nel 2013 più della metà delle future vittime di omicidio aveva segnalato/denunciato alle Istituzioni le violenze subite.
Nella mia esperienza professionale legale e nell’attività di consulenza a favore di associazioni di volontariato a difesa delle donne e degli sportelli di ascolto, ho potuto appurare una diffusa sfiducia da parte delle vittime di violenza nei confronti delle Istituzioni e una altrettanto diffusa rabbia contro se stesse per non aver saputo cogliere nell’autore della violenza, prima del suo manifestarsi, quei segnali che avrebbero dovuto far loro prevedere l’esito violento. O farlo prevedere ai parenti, quando si tratta di femminicidio.
Quando ho tenuto dei corsi di formazione per le volontarie di un centro di consulenza, ho constatato che molte erano state a loro volta vittime di violenza e sentivano fortemente l’esigenza di mettere la propria esperienza, per quanto negativa, a vantaggio di altre donne, facendosi portavoce di un messaggio molto semplice, ma anche molto dirompente: la violenza non va giustificata, non va sottovalutata e, soprattutto, non bisogna vergognarsene.
In questo quadro allarmante, ben si comprende l’importanza della ricorrenza del 25 NOVEMBRE, istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite quale GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE, in ricordo del brutale assassinio, nel 1960, delle tre sorelle Mirabal, eroine nazionali dominicane della lotta contro il dittatore Trujillo.
Convegni, forum, mostre, spettacoli teatrali, piazze illuminate di rosso, flash mob, avvio di campagne di sensibilizzazione: sono state tantissime le iniziative in tutto il mondo per dire “no” alla violenza.
In particolare, a Vigevano, come Consulta Femminile, in collaborazione con l’Assessorato alle pari opportunità, abbiamo organizzato un doppio evento, un convegno e una fiaccolata. Il convegno -dal titolo “Perché la picchiavo”-Riflessioni sulla violenza a partire dal maschile- è stato tenuto da uno psicologo del Centro LDV (Liberiamoci dalla violenza) di Modena, l’unica struttura pubblica in Italia -nata proprio il 25 novembre di tre anni fa- per il trattamento socio-sanitario degli autori di maltrattamenti intrafamiliari, che si avvale di personale, tutto al maschile, formato ad hoc presso “Alternative To Violence” di Oslo, il più importante Centro a livello europeo nel trattamento degli uomini autori di violenze. Dalla risposta positiva del vasto pubblico presente credo proprio che sia riuscito l’intento di far comprendere che -accanto all’aiuto alla donna-, occorre sciogliere il meccanismo che porta taluni uomini a usare la violenza.
Per quanto riguarda la fiaccolata, si è svolta domenica 23 novembre per le vie del centro storico di Vigevano e ha visto il coinvolgimento di tante donne, ma anche di tanti uomini, il Sindaco in testa, che hanno voluto portare la loro testimonianza di condivisione e denuncia. Al termine della fiaccolata, uno spettacolo di danza e letture di esperienze molto forti, vissute da donne maltrattate o da parenti di donne vittime di femminicidio. L’emozione è stata fortissima. In particolare, io mi sono commossa perché quella sera ho visto la realizzazione di un mio piccolo progetto: il coinvolgimento, in una manifestazione cosi significativa, delle detenute della Casa di Reclusione di Vigevano, che ho avuto modo di conoscere, in occasione dei tanti service rotariani organizzati in loro favore. Mi sono resa conto che la violenza, nei suoi vari aspetti e forme, rimane sempre il filo conduttore delle situazioni e delle scelte di vita che hanno portato quelle donne alla condizione di detenzione e di quanto sia importante trovare il modo di dare voce alle urla silenziose della realtà del mondo carcerario. Così, grazie all’amicizia e alla sensibilità del Direttore della ex Casa Circondariale, che ha affrontato e risolto ogni problema autorizzativo e di sicurezza, le detenute dell’intera sezione femminile e le guardie carcerarie si sono ritrovate nei corridoi e, alla medesima ora di accensione delle fiaccole in città, ognuna di loro ha acceso una candelina, illuminando il carcere e partecipando in questo modo alla nostra fiaccolata. E noi le abbiamo ricordate lungo il percorso silenzioso per le vie del centro e, al termine del corteo, su loro richiesta, abbiamo letto una lettera, scritta a mano, che le detenute mi avevano fatto recapitare. Non trovo modo migliore per concludere la mia relazione con le frasi finali di quella lettera:
“…Siamo creature straordinarie, siamo mamme, generiamo la vita, anche quella di quegli uomini che attraverso la violenza spezzano un incantesimo, sfregiano la natura “tutta”. La violenza non è solo fisica, è diffusa e viene nascosta e poi c’è l’altra, quella sottile che consuma e dilania lentamente l’anima, fatta di comportamenti di poca considerazione o indifferenza. Queste poche righe sono le parole che cento voci stanno urlando per dire BASTA alla violenza sulle donne. Le detenute di Vigevano”.

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