Ma quale espansione?

Giancarlo Calise, ingegnere, Governatore 2007- 2008 del Distretto R.I. 2100, socio del R.C. Avellino (Distretto 2100).

La richiesta di una riflessione sul tema dell’espansione mi è giunta in concomitanza con la mia partecipazione al Consiglio di Legislazione 2013 tenutosi a fine aprile a Chicago. Nella sessione di apertura della domenica, prima di dare corso all’esame delle proposte di emendamento che sarebbe iniziata dal mattino successivo, è stato presentato il rendiconto finanziario del triennio trascorso e la sua proiezione per i prossimi anni. Il punto centrale della relazione, rivolta ai 528 delegati presenti (tutti ex-Governatori), è stato dedicato a sottolineare come la crescita del numero dei soci sia elemento essenziale per il futuro equilibrio del conto economico del Rotary, nonostante la riduzione dei costi parallelamente programmata.

Una crescita che è stata quantificata in almeno100.000 soci entro il 2015 e che rappresenterebbe un incremento netto medio di tre soci per ogni club nel mondo; un obiettivo che può apparire realizzabile, ma per i tanti club di piccole e piccolissime dimensioni che non potranno riuscirvi, altrettanti dovranno crescere almeno del doppio. Da questa premessa non si può prescindere nell’affrontare il tema dell’espansione che peraltro è condizione indispensabile per ogni attività economica; la mancanza di crescita porta infatti inesorabilmente al successivo progressivo declino. Un declino che nel Rotary è già iniziato; negli Stati Uniti da qualche tempo, più recentemente in Europa Occidentale ed ora per la prima volta anche in Italia, bilanciato sin qui dallo sviluppo di nuovi club e nuovi soci in Europa Orientale e soprattutto nei Paesi asiatici, destinato tuttavia nel tempo anch’esso a diminuire.

La crescita numerica sembra quindi essere un obiettivo obbligato per la sopravvivenza del Rotary, ma non per questo io ritengo debba essere raggiunta dovunque e comunque. Le statistiche disponibili e le nostre stesse esperienze ci insegnano infatti che i soci immessi frettolosamente e “forzatamente” nei club ne escono poi nel giro di poche anni, dopo aver creato qualche disappunto ed a volte qualche dimissione, rivelandosi così una cura peggiore del male.

Alla domanda “qualità o quantità ?” troppo facile sarebbe rispondere: entrambe, personalmente tuttavia non nutro dubbi che di fronte all’alternativa la scelta non possa che essere la prima.

Se il Rotary ha saputo affermarsi nel mondo intero e superare i 100 anni di esistenza lo ha dovuto prima di tutto alla qualità dei suoi soci ed al conseguente prestigio che era rappresentato dall’essere uno di essi. La qualità dei soci per molti decenni ha coinciso con una loro posizione lavorativa e sociale apicale ed elitaria; è stato quello il tempo in cui l’ammissione al Rotary era frutto di un’attenta selezione ed era pertanto fortemente ambita. Oggi le modifiche ai regolamenti rotariani tendenti a favorire la crescita numerica, unitamente all’evoluzione della società e, solo più recentemente, alla situazione economica generale, hanno ribaltato la situazione; da essere cercati siamo diventati cercatori!

Ma quale espansione è possibile e contemporaneamente sostenibile?

La ricerca di nuovi soci credo vada orientata verso persone (in particolare giovani e donne come molto frequentemente viene ripetuto) che definirei “buoni cittadini”, caratterizzati da buon carattere, comportamenti corretti, rispettati nella comunità in cui vivono e che a loro volta rispettino gli altri e le regole. Essi dovranno contribuire a modificare l’inaccettabile stereotipo di un Rotary che sa solo andare a cena in grandi alberghi e portare nei nostri club nuovo entusiasmo e slancio con la loro partecipazione attiva rispetto ai troppi soci distratti e svogliati.

Credo infine che quando il territorio lo consenta, la più efficace maniera di espandere, non solo l’effettivo, ma anche la diffusione della conoscenza e dell’operato del Rotary, sia la costituzione di nuovi club, purché ciò non nasca solo dalla velleità di protagonismo del Governatore in carica o, peggio, dalla separazione di un gruppo di soci dissidenti di un club già esistente nella medesima area geografica.

La nascita di nuovi club e l’accrescimento del numero dei soci potranno poi anche portare a valutazioni in merito alla dimensione Distrettuale e ad interrogarsi sull’opportunità della creazione di nuovi Distretti in modo da rendere più efficiente ed anche meno onerosa la loro gestione. L’esperienza vissuta a Chicago, dalla quale sono partito in queste riflessioni e con la quale concludo, mi ha ricordato che nel mondo rotariano quasi la metà dei Distretti ha meno di 2.000 soci e che essi hanno il medesimo peso al momento delle votazioni di quelli che ne hanno 4.000, 5.000 ed anche più. In tal senso va intesa la politica del “redistricting” messa in atto da Evanston, ma questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia.

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