Matilde di Canossa, rotariana ante litteram

Cesare Antonio Bellentani, imprenditore, socio del Rotary eClub 2050.

“Che cosa c’entra Matilde di Canossa con il Rotary?” mi ha chiesto Bruno, quando gli ho proposto, ricorrendo i 900 anni dalla sua scomparsa, di scrivere qualche riga sulla gran contessa. Gli ho risposto con un’altra domanda: “Il Rotary è scoperta o invenzione?”. Eravamo al telefono, e non ho potuto vedere la sua espressione basita. L’ho soltanto immaginata, intuita. Perché questa mia domanda? Perché se è vero, abbiamo continuato a disquisire, che l’America è stata scoperta (da Colombo o dai Vichinghi a voi la scelta), è altrettanto vero che esisteva prima del 1492. Solo che non se ne aveva né coscienza, né le si era dato un nome. E, in analogia, il Rotary, è stato un’invenzione di Paul Harris, oppure il nostro fondatore ha scoperto qualcosa che forse già c’era e gli ha dato un nome, organizzandolo? Ecco allora che l’espressione di Bruno, mentre ci dilungavamo in tali discorsi,  perdeva di stupore e aumentava di interesse (lo capivo attraverso il telefono). Matilde sarebbe stata una buona rotariana? Io credo di sì. Aveva alcune delle doti che contraddistinguono un rotariano, o almeno dovrebbero. Innanzitutto aveva una capacità di leadership eccezionale, fatto incredibile in una donna dell’anno mille. E questo le è stato tributato negli anni, 515 anni dopo la sua morte; per ordine di un pontefice, Urbano VIII, il suo corpo fu “trafugato” dal monastero di San Benedetto in Polirone, di notte, perché i monaci non lo venissero a sapere, e traslato in San Pietro. Una delle 3 donne ad avere questo privilegio. E se pensate che il Rotary ha atteso gli anni novanta per ammettere le donne, ritengo che non sia stato un riconoscimento da poco … Poi la gran contessa si è prodigata per tutta la vita per la pace e la comprensione fra i popoli. Non sottoscriviamo noi questo principio, quando siamo ammessi al Rotary, prima della spillatura? Ha cercato di mediare fra Gregorio VII, capo di quella chiesa in cui vedeva il bene supremo, contro il cugino Enrico IV, re e non imperatore, perché mai consacrato da un papa legittimo. Quell’Enrico IV col quale bambina aveva trascorso l’infanzia a Goslar, in Germania, e che le aveva chiesto, nel gelido inverno del 1077 sotto le mura del castello di Canossa che ammiro ogni giorno in estate “Consobrina valens, fac me benedicere, vade!”, cugina valorosa, fammi benedire, vai! E così facendo commise un errore, assieme a Ugo, abate di Cluny e padrino di Enrico. Perché quel perdono al quale convinse Gregorio portò in realtà a quasi venti anni di guerra. Ma lo fece in buona fede. Né diversamente avrebbe potuto agire. Ma soprattutto Matilde fu rotariana per lo spirito di servizio. Tutta presa dalla causa della chiesa, e dall’idea di portare ordine fra città terrena e città celeste, per dirla con le parole di Sant’Agostino, dovette rinunciare al suo sogno grandissimo, quello di farsi monaca e trovare la pace all’interno del chiostro. Glielo proibì (o forse è meglio dire glielo sconsigliò vivamente) papa Vittore III, già abate di Montecassino, durante il suo brevissimo pontificato fra due giganti quali Gregorio VII e Urbano II (il papa della prima Crociata). Le disse espressamente che non poteva cercare una fuga dai suoi doveri. Dio l’aveva messa al mondo per ben altro. Quindi combattesse, altro che pace del chiostro… glielo ribadì Urbano II, al quale si chinò obbediente, con lo stesso spirito di servizio, anche quando le chiese aiuto per la prima Crociata. Nonostante il comando fosse affidato a un altro illustrissimo suo parente, Goffredo di Buglione, con il quale era in grande disputa per questione ereditarie in Alta e Bassa Loraringia (pochi ettari di terreno, soltanto Olanda, Belgio, Francia del Nord e Lorena… robetta, quisquiglie, potete capire) Matilde contribuì con una armatissima flotta pisana, determinante, soprattutto perché chi stava raggiungendo la Terrasanta marciando via terra stava morendo di fame, fatica, malattie e tribolazioni. Quindi ancora servì, al di sopra del suo interesse personale. Realizzò il suo desiderio di vivere come monaca solo negli ultimi mesi della sua vita, nel monastero di San Benedetto in Polirone, dove dal Natale del 1114, quando si ammalò, al 25 luglio 1115, visse da monaca, facendosi costruire una piccola cappella dedicata a San Giacomo all’interno della cella ove, inferma,  passava le sue giornate a pregare. Riuscì con tenacia a superare momenti terribili: quando nel 1083 e 1084 le truppe germaniche mettevano a sacco Roma, come i barbari sette secoli prima, e Gregorio VII si era rifugiato a Castel Sant’Angelo prima e a Salerno poi, ospite del re normanno Roberto il Guiscardo; o come quando a Carpineti, nel 1092, stava per accettare davanti ai vescovi tutti lì riuniti, di “bere l’amaro calice” e accettare come valido l’antipapa Clemente III, Guiberto Giberti di Parma, anch’esso suo parente, ma ascoltò le sagge parole di un tale Giovanni l’eremita da Marola, che sdegnosamente ammonì tutti: le porte degli inferi mai prevarranno sulla volontà di Dio. Riprese a combattere e mise in fuga, definitivamente, Enrico, divenuto da allora, come racconta Donizone, il “Perdicause”. Può entrare a buon diritto fra i rotariani di prima del Rotary, questa donna potentissima, bellissima (un viso splendido, capelli biondo ramati, alta quasi un metro e ottanta, cavalcatrice infaticabile, aveva ancora tutti i suoi denti al momento della morte, avvenuta all’età di 69 anni, che allora era come dire oggi una ultracentenaria…), e che seppe piegare la sua volontà al servizio di ideali più grandi? Che si contraddistinse per questa grande capacità di guidare le genti, di dialogare, di combattere, a seconda che le necessità lo richiedessero? Io credo proprio di sì, e credo possa essere messa fra le persone di tutti i tempi da cui prendere una qualche ispirazione, anche in un quotidiano come il nostro che è, di certo, molto più modesto. Ma certe scelte di servizio al di sopra del nostro interesse personale, di favorire la pace fra le persone, di utilizzare i nostri talenti e non sotterrarli nella pace del chiostro, reale o metaforico che sia, ci si pongono, credo, ogni giorno. E allora la sfida dell’esistenza, a mio parere, si può nutrire anche dell’esempio di splendide figure come quella di Matilde.  Infine una nota: tutte le province del nostro distretto 2050, Mantova (che le diede i natali) Pi­acenza (ove tenne concili), Cremona, Pavia e Brescia facevano parte dei suoi grandissimi possedimenti, così come l’Emilia Romagna e la Toscana, che formavano l’ex distretto 2070 dal quale provengo. Quindi posso affermare di aver vissuto sinora la mia esperienza rotariana all’interno di due distretti che avevano come Governor una grandissima rotariana ante litteram: Matilde di Canossa.

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