Prevenzione e cura delle malattie

Federica Manzoni, medico chirurgo, specialista in medicina fisica e riabilitazione, socia dell’eClub 2050

La parola prevenzione è attualmente ampiamente usata e frequentemente evocata, tantoché il mese che si è appena aperto è definito come “il mese della prevenzione”.
Mi sono chiesta perché proprio dicembre. Forse per far sì che le persone inizino il nuovo anno, alle porte, con buoni propositi riguardo al proprio stato di salute ed alla cura di sé? lasciando alle spalle i “bagordi” delle festività natalizie? O i mancati controlli o le visite posticipate e mai effettuate durante l’anno?
Quello che è certo è che prevenzione, apparentemente solo una parola, riassume in sé una miriade di significati, una gran vastità di azioni e concetti.
Prevenire significa di per sé arrivare prima, ossia cercare di battere qualcuno o qualcosa sul tempo. Battere sul tempo una malattia vuol dire poter mettere in atto delle strategie, delle azioni che ci permettano di evitarla, sottraendoci in tal modo da tutto ciò che essa comporta.
In genere quando si parla di malattia si pensa subito al disagio fisico (esami, ricoveri, interventi chirurgici, terapie con annessi effetti collaterali), senza considerare che essa porta con sé una serie di sequele a livello personale, famigliare, lavorativo ed economico-sociale.
La malattia comporta delle conseguenze, in termini di disabilità fisiche e conseguentemente anche psicologiche che non possono che riflettersi sulla vita personale della persona affetta dalla patologia o dalla disabilità sulla vita familiare, dei caregivers.
Il fatto di avere accanto una persona affetta da una patologia, o recante le sequele di un trauma, ovviamente non può che ripercuotersi sulla vita familiare, in termini affettivi, psicologici, organizzativi, economici.
La perdita di giornate lavorative o la riduzione del lavoro o il suo abbandono risulta un’altra grave conseguenza della malattia, considerata sia in termini personali, sia in termini sociali e socio-economici.
Ecco perché la prevenzione, che apparentemente sembra essere solo un termine, racchiude in sé un complesso universo: prevenire una patologia, una disabilità o un trauma comporta una serie di conseguenze, a diversi livelli. A livello fisico e psicologico personale, a livello famigliare, a livello lavorativo, economico e sociale.
Il poter prevenire l’insorgere di una patologia o per lo meno poterne limitare la gravità comporta la possibilità di evitare o di ridurre tutto il corteo di conseguenze che essa porta con sé.
La prevenzione si articola su più livelli.
Esiste una prevenzione primaria, che comprende l’insieme di tutti gli interventi e le attività volte al mantenimento dello stato di salute. Classico esempio sono le vaccinazioni: interventi portati avanti su individui sani al fine di prevenire l’insorgenza di una o più malattie.
Prevenzione primaria è quindi quella che tutti conosciamo bene e che sta conducendo il Rotary con il progetto PolioPlus.
In riferimento alla pratica vaccinale, si sono da sempre presentate critiche ed opposizioni e le vaccinazioni sono più volte state osteggiate per via degli effetti collaterali cui talora si possono accompagnare.
In particolare, ultimamente i vaccini sono tornati a far parlare di sé su giornali e mass media per il caso di bambini che hanno sviluppato la pertosse, in taluni casi anche con esito fatale, perché non erano stati vaccinati.
Mi è capitato più volte di leggere online tali notizie, che mi hanno colpito (sia perché medico, sia perché mamma di un bambino di poco più di un anno e mezzo); ho trovato più volte la notizie riportata sui social media, con colleghi/e che, in risposta a ciò, pubblicavano posts a sostegno della pratica vaccinale.
Anche una corretta alimentazione, uno stile di vita sano che preveda attività fisica in quantità moderata, l’evitare l’abuso di alcool e le dipendenze, una corretta igiene personale (in particolare, ad esempio, l’igiene dentale) vanno considerati esempi di prevenzione primaria.
Inoltre, è necessario tenere presente che la prevenzione primaria si può attuare di fatto non a 360° (come al contrario viene spesso pubblicizzato), dal momento che vi sono fattori di rischio legati all’individuo di per sé, che non possono assolutamente essere modificati: ad esempio, il sesso, la genetica, la familiarità, l’etnia o l’età.
La prevenzione secondaria consiste nella diagnosi precoce, di cui tanto sentiamo parlare, che, tramite un esame non invasivo, permette di diagnosticare la malattia (di solito un tumore) in uno stadio precoce, ossia pre-clinico (prima cioè che siano insorti i sintomi e i segni di malattia conclamata). La patologia, in tal caso, è diagnosticata in una fase che si situa tra l’insorgenza biologica e la manifestazione dei primi segni o sintomi.
Tutti conosciamo il Pap-Test per la diagnosi precoce del tumore del collo dell’utero, la cui esecuzione è consigliata ogni 3 anni a tutte le donne dai 25 anni in su.
Anche lo screening per il cancro del colon-retto, consistente nella ricerca del sangue occulto nelle feci, è impiegato ed effettuato ogni anno nella popolazione tra i 50 e i 75 anni.
I test di screening adottati cambiano poi in nazioni diverse; ad esempio, ho appreso che in Giappone viene da tempo effettuata la gastroscopia in qualità di diagnosi precoce per il tumore dello stomaco, cosa che in altri Stati, tra cui l’Italia, non è stata adottata dal momento che si stratta di un esame invasivo.
Purtroppo ovviamente non esistono metodiche di diagnosi precoce per tutti i distretti corporei.
Ad esempio, per l’encefalo o per i polmoni non esistono metodiche di diagnosi secondaria; motivo per cui, nel caso del tumore al polmone, si cerca di portare avanti una prevenzione primaria, con l’indicazione ad evitare o a limitare grandemente il tabagismo.
Inoltre, il fatto che per alcune neoplasie esista la possibilità di una diagnosi precoce, non significa che per tali patologie si debba ignorare la prevenzione primaria.
Ad esempio, per la prevenzione del tumore del colon-retto rimane certamente fondamentale consumare una dieta sana, che contempli un buon introito di fibre e non ecceda con zuccheri semplici; per la prevenzione del tumore della cervice uterina è comunque consigliata una corretta igiene sessuale e l’evitare rapporti sessuali occasionali non protetti.
Esiste poi una prevenzione terziaria, che si rivolge a coloro che già hanno presentato una patologia o un trauma, da cui o dai cui esiti sono affetti e consiste nel prevenire eventuali recidive, complicanze o peggioramenti dello stato di salute.
Comprende quindi l’effettuazione di regolari esami di controllo (ad esempio, per prevenire le recidive di una patologia tumorale), l’assunzione di determinate terapie (ad esempio terapie antiaggreganti o anticoagulanti in soggetti che hanno subito un ictus cerebrale o un infarto miocardico o che presentano uno stato di trombofilia), il controllo della glicemia nei soggetti diabetici con eventuali aggiustamenti di terapia.
Nella medicina riabilitativa, si considerano anche tutti quegli interventi volti a ridurre la disabilità e a mantenere costante il livello funzionale della persona che ha subito una lesione fisica-motoria. In tali situazioni, l’effettuazione di sedute fisiochinesiterapiche, volte al mantenimento dell’integrità funzionale del soggetto, e la terapia occupazionale, con l’eventuale impiego di specifici devices, tutori, protesi ed ortesi, possono contribuire alla conservazione dell’autonomia residua e delle capacità motorie e funzionali sia al domicilio che al di fuori.
Le limitazioni funzionali motorie, se gestite in modo ottimale, possono essere contenute in modo che il soggetto possa rimanere in grado di gestire la propria vita familiare, sociale e in taluni casi anche lavorativa, con l’impiego di ausili ed ortesi.
Strettamente connesso al concetto di prevenzione, in particolare di quella primaria, è quello di educazione sanitaria, che a sua volta si rifà al concetto di promozione della salute.
In base alla definizione WHO (World Health Organization), la promozione della salute è un “processo finalizzato a rendere capaci le persone di incrementare il controllo sui determinanti della salute per migliorarla. Non comprende solo azioni dirette a sviluppare e rafforzare le capacità individuali ma si propone di modificare i fattori sociali, ambientali ed economici rilevanti per la salute.”
L’educazione sanitaria, secondo la definizione dell’OMS è “il processo che conferisce alle popolazioni i mezzi per assicurare un maggiore controllo sul proprio livello di salute e migliorarlo”.
Il termine “educazione” penso sia importante per porre l’accento sul percorso da fare, sul dover apprendere nozioni utili per migliorare la propria salute e quella collettiva.
In tal senso, ritengo che l’educazione sanitaria debba essere promossa da subito, nei bambini, in tenera età, in modo che risulti radicata nell’individuo e che faccia parte del suo bagaglio “educativo”.
Essere “educati” nei confronti della propria salute comporta meno rischi non solo per sé stessi, ma anche per tutti coloro che ci circondano. Si pensi ad esempio, alle campagne per la sicurezza stradale portate avanti nelle scuole o alla sensibilizzazione nei confronti del problema dell’abuso di alcool o droghe o nei confronti della sicurezza sessuale.
Se tali campagne fossero portate avanti in modo corretto e soprattutto fossero ben recepite dai soggetti interessati, allora sì che si avrebbero vantaggi per tutta la società, ai diversi livelli di cui sopra si parlava.

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