Rifondare l’economia partendo dall’etica

Amartya Sen, rotariano, nato nello stato indiano del Bengala Occidentale, all’interno di un campus universitario, da una famiglia originaria dell’odierno Bangladesh, dopo gli studi al Presidency College di Calcutta ha conseguito il PhD al Trinity College di Cambridge. Ha insegnato in numerose e prestigiose università tra le quali Harvard, Oxford e Cambridge. È stato, inoltre, docente presso la London School of Economics. È membro del Gruppo Spinelli per il rilancio dell’integrazione europea. Fa parte del gruppo dei 6 premi Nobel per l’economia “anti-euro”. Il 17 giugno 2005 ha ricevuto una laurea honoris causa in Economia, politica ed istituzioni internazionali dall’Università degli Studi di Pavia.

 

Dall’omonimo libro di Amartya Sen, sintesi dell’economista Attilio Pasetto.

Tra le tante conseguenze negative, la crisi economica un effetto positivo sembra averlo avuto: quello di far crescere nella società civile l’esigenza di un cambiamento di rotta dell’economia. Un cambiamento che parta in profondità, ossia dalle regole, dai comportamenti e che investa i fini stessi dell’economia. Si avverte in particolare la domanda di comportamenti più etici da parte degli attori economici e politici con riferimento soprattutto alla finanza, alla vita pubblica, all’ecologia e a tutto ciò che riguarda uno sviluppo equo e sostenibile. Ecco quindi che, dopo essere stata a lungo tenuta fuori dagli “schemi” dell’economia, l’etica ritorna in gioco. Ma come ci ritorna?
Il modo più comune è quello in cui l’etica si aggiunge all’economia e serve soltanto a tacitare le coscienze.
È questo spesso il caso di tante grandi corporation, che creano una sezione dedicata a iniziative filantropiche e umanitarie accanto ai normali modelli di business. Non può essere questa la risposta alla domanda che sorge dalla società civile. L’etica infatti deve nascere dall’interno delle categorie economiche, non essere separata dall’economia, ma farne parte integrante. Per trovare la “chiave giusta” abbiamo allora bisogno di attingere al patrimonio scientifico e morale, che ci viene dai grandi pensatori, del passato e del presente. Un grande economista e filosofo contemporaneo che ci aiuta nel coniugare insieme etica ed economia è Amartya Sen.

Il profondo legame tra etica ed economia nasce secondo Sen dalla natura stessa della persona umana e si esplica nei suoi comportamenti. Alla base dei comportamenti dell’uomo non vi sono infatti soltanto motivazioni dettate dal perseguimento del proprio interesse personale – come afferma la filosofia economica dominante, di impronta utilitarista – ma anche motivazioni di altro genere, dettate ad esempio dalla simpatia, dal sentimento morale, dal desiderio di fare del bene. Ci sono esempi storici – sostiene Sen in “Etica ed economia” (1988) – che dimostrano come le considerazioni meramente fondate sugli interessi personali non bastino a spiegare certi successi economici. Un caso è quello del miracolo economico italiano, quando la spinta alla ricostruzione nel dopoguerra venne da fattori non solo economici, ma anche morali, come la volontà di riscatto e di emancipazione. A volte possono essere prevalenti, nella spiegazione dei comportamenti umani, considerazioni di tipo religioso o di tipo familiare. Quindi, l’interesse personale, pur essendo molto importante, non ha una rilevanza esclusiva.
Ma il legame tra etica ed economia non si esaurisce qui. È anche il fine ultimo dell’economia che viene chiamato in causa. Secondo Sen, l’economia deve servire all’uomo per renderlo più libero e più felice. Sen non crede nei miti della “decrescita serena” à la Latouche, ma pensa che l’economia debba assicurare lo sviluppo. Ma quale sviluppo?
Sviluppo, secondo Sen, significa accrescere le libertà dell’uomo. “Lo sviluppo è libertà”: così si intitola uno dei più bei libri dell’economista indiano pubblicato nel 2000. Lo sviluppo, in altre parole, non può essere basato su un mero concetto di crescita quantitativa, ma deve allargare gli spazi di libertà dell’uomo.
Il compito della politica economica diventa allora quello di mettere in condizione tutti i cittadini di puntare alla loro autorealizzazione. Sviluppo vuol dire combattere le illibertà e le deprivazioni, che affliggono il mondo: la mancanza di diritti e di democrazia, la povertà, lo sfruttamento, l’assenza di servizi pubblici di base, come la sanità e l’istruzione. Nel perseguire questo obiettivo Sen sostiene che la via giusta è quella dell’economia di mercato, respingendo però concezioni “mercatiste”, che sacrificano la democrazia e i diritti. Sen sostiene che l’economia di mercato, se correttamente intesa, è espressione di libertà e veicolo attraverso cui si creano opportunità, occasioni sociali, nuove libertà. Il mercato – che non è qualcosa di asettico, ma è influenzato dalle istituzioni – non deve però portare alla mercificazione e alla schiavitù dell’uomo. Sen non concorda con coloro i quali sostengono che sull’altare della crescita si debbano sacrificare la libertà, la democrazia e i diritti umani. Una crescita del PIL non accompagnata dall’allargamento delle libertà semplicemente non è sviluppo. Quindi il PIL non può essere l’unico indicatore dello sviluppo.

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